Più di 40 anni di contributi per la pensione

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ROMA — Dovrebbe valere oltre 10 miliardi di euro all’anno la riforma delle pensioni nella versione «hard» allo studio dei tecnici della Ragioneria e del ministero del Lavoro. Stop al recupero dell’inflazione, revisione delle aliquote per eliminare privilegi, estensione del contributivo, aumento dell’età  minima a 62-63 anni, equiparazione donne uomini. Mentre il ministro del Lavoro Elsa Fornero scalda i motori facendo visita prima al capo dello Stato Giorgio Napolitano poi al presidente della Commissione lavoro della Camera Silvano Moffa, qualcosa si muove anche sul fronte della patrimoniale.
Sì alla patrimoniale soft
Nonostante il no di Silvio Berlusconi, ribadito ancora ieri — «impoverisce la gente» — e le difficoltà  per la sua applicazione (ne verrebbero esclusi i grandi patrimoni perlopiù all’estero) il governo avrebbe ottenuto il via libera dal Pdl a una versione soft della patrimoniale (il 2 per mille a patrimoni oltre il milione e mezzo di euro) che servirebbe come condizione necessaria per ottenere il via libera da parte del sindacato e del Pd a fare interventi sulle pensioni e sul mercato del lavoro.
Quali saranno alla fine le misure prese o annunciate dal governo nel Consiglio dei ministri del 5 dicembre dipenderà  dalla cifra finale della manovra che Mario Monti sta negoziando in queste ore a Bruxelles. A seconda di come verranno assorbite e interpretate le ultime stime del Pil per il 2012 (l’Ocse l’altro giorno ha previsto un calo dello 0,5% rispetto a un Def che indicava più 0,6%) la forchetta della finanziaria oscilla tra un minimo di 20 e un massimo di 40 miliardi nel biennio, per arrivare al pareggio di bilancio fissato per il 2013. Un gioco da far tremare i polsi e dal quale dipende l’atteso giudizio sulla prima fase dei tecnocrati al potere. Comunque, di sicuro lunedì prossimo ci sarà  l’intervento sulla casa, con la reintroduzione dell’Ici magari sotto forma di Imu, e la rivalutazione degli estimi catastali, e arriverà  qualcosa anche sulle pensioni. Un assaggio, tanto per far capire ai mercati che questo governo fa sul serio, per continuare successivamente con un piatto più pesante dopo il confronto con le parti sociali. In discussione ci sono anche nuovi aumenti dell’Iva e le misure per il rilancio della crescita (riduzione del cuneo fiscale).
Stop alla rivalutazione
Ai dieci miliardi di euro del pacchetto pensioni si arriva abbastanza facilmente. Se si considera che, solo per l’Inps, ogni punto di inflazione sullo stock di 200 miliardi di euro vale 2 miliardi e poiché quella attesa nel 2012 è del 3%, il risparmio è di circa 6 miliardi l’anno, ma è probabile che non verranno colpite le rendite più basse. Un 1 miliardo e 200 milioni arrivano dall’aumento delle aliquote contributive dei lavoratori autonomi e dei politici, che attualmente versano appena dall’8 al 20-21% rispetto alla media del 33%. Circa 1,5-2 miliardi provengono dall’anticipo al 2012 dell’aumento da 60 a 65 anni per l’età  di uscita delle donne, e oltre 2 miliardi a regime (ma poco nei primi anni) con l’estensione del contributivo pro rata per tutti.
Le donne a 65 anni
Sulle donne si sta ragionando di chiudere il percorso di adeguamento al 2016 o al massimo al 2020 rispetto al timing attuale fissato al 2026. Dalla stretta sull’anzianità  arriveranno pochi spiccioli (385 milioni nel 2013 e 973 nel 2014) mentre il grosso del risparmio si dovrebbe ricavare dall’aumento della soglia minima dei 40 anni che assorbe circa due terzi delle uscite annuali per anzianità . In soldoni, circa 2,5 miliardi solo per l’Inps e un altro miliardo dall’Inpdap (dipendenti pubblici). In questo schema si potrebbe partire da 41 anni nel 2012 e poi alzare gradualmente la soglia. In pratica significa abolire le pensioni di anzianità  nel giro di cinque anni.
Maroni contrario
Il blocco dell’inflazione, cioè dell’adeguamento della pensione al costo della vita (anche in questo caso, come già  detto, prevedendo una scala proporzionale verso gli assegni più alti con esclusione delle pensioni base), è la misura più importante e decisamente la più impopolare. Il leghista Roberto Maroni, che è stato ministro del Welfare, ha commentato di sentirsi «la pelle d’oca». «Ho letto che si intende eliminare la rivalutazione delle pensioni — ha detto Maroni —. Arriveranno a questo? Penso che non ci possa essere un solo parlamentare che possa toccare le pensioni in questo modo».
La Fornero sa di muoversi su un piano molto inclinato. Ieri ha firmato il decreto per la proroga del sostegno al reddito dei lavoratori che non rientrano nel contingente delle 10 mila unità  salvaguardate dalla disciplina delle finestre mobili, provvedimento che stava a cuore ai sindacati che hanno apprezzato il gesto. Ma sono contestualmente scesi sul piede di guerra quando hanno capito che la stretta sulle pensioni potrebbe arrivare già  dal 5 dicembre. I pensionati della Cgil e della Uil hanno messo in guardia il governo dal procedere a un blocco della rivalutazione per una platea di cittadini che negli ultimi anni si sono già  fortemente impoveriti. Il segretario Spi Cgil Carla Cantone suggerisce alla Fornero di «andare a prendere le risorse da chi le ha, da quelle categorie veramente privilegiate come i parlamentari, i manager e i dirigenti». Il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, chiede invece un incontro urgente per «fare chiarezza».
Per evitare un pacchetto totalmente impopolare, si colpirà  anche la «casta» dei parlamentari. Sarebbe impossibile spiegare il contrario al resto dei cittadini che verranno colpiti dal primo gennaio.


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È sbagliata l’idea che per essere più competitivi l’unica via sia quella di comprimere i diritti e di agire sui costi. Con la detassazione delle tredicesime si favorirebbero i bassi redditi e quelli tagliati dai lunghi stop produttivi

Anticipiamo l’editoriale di Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, che apparirà  sul prossimo numero del settimanale della confederazione, “Rassegna sindacale”.

LA MINACCIA DELL’ARTICOLO 8

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I commenti all’articolo 8 del decreto sulla manovra finanziaria hanno insistito per lo più sul rischio che esso faciliti i licenziamenti, rendendo di fatto inefficace l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori allorché si realizzino “specifiche intese” tra sindacati e azienda. È stato sicuramente utile richiamare l’attenzione prima di tutto su tale rischio, di importanza cruciale per i lavoratori. Tuttavia un’attenzione non minore dovrebbe essere rivolta ad altre parti dell’articolo 8 che lasciano intravvedere un grave peggioramento delle condizioni di lavoro di chiunque abbia o voglia avere un’occupazione alle dipendenze di un’azienda.

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