Primo: Maastricht nella Costituzione

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Deficit solo in caso di catastrofi naturali e grave recessione. La finanziaria sarà  una legge «speciale» Il primo atto del governo di «impegno nazionale» sarà  riformare la Costituzione introducendo l’obbligo del pareggio di bilancio per tutti i conti pubblici: da quelli dello stato a quelli di regioni, province e comuni.
Inizia oggi alla camera il lungo viaggio della cosiddetta «regola aurea». Il primo voto in aula è previsto per martedì prossimo, ma il neoministro Piero Giarda si è augurato ieri che entro la prossima settimana arrivi il secondo via libera (sui quattro necessari) anche dal senato.
La norma, scritta praticamente all’unanimità  da tutti i partiti, riscrive quattro articoli della Costituzione (81, 100, 117 e 119) ed entrerà  in vigore dal 2014. Legge di bilancio e rendiconto consuntivo generale (quello su cui è caduto Berlusconi) assumono il rango di leggi “speciali”, da approvare ogni anno entro il 30 giugno con maggioranza non più semplice ma «assoluta» dei membri delle camere.
Il cuore della riforma è l’introduzione dei criteri di Maastricht e del patto di stabilità  nel nuovo articolo 81: «Lo stato, nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea, assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio». Tot entra di tasse, tot puoi spendere. Soltanto due le deroghe previste: eventi «eccezionali» (tipo catastrofi naturali) e una «grave recessione economica». Anche in questo caso però il debito deve essere «accompagnato da un percorso di rientro» e soprattutto deve essere autorizzato «con deliberazioni conformi delle due camere» a «maggioranza assoluta». E’ una regola simile ma più restrittiva del tetto al debito che ha consumato la politica Usa quest’estate.
Peggio ancora, a cascata il principio del pareggio di bilancio viene esteso «a tutte le pubbliche amministrazioni» e a tutti gli enti locali. Alla faccia del federalismo, sarà  il governo con la finanziaria annuale a imporre a tutti il deficit zero.
La riforma prevede «controlli preventivi e consuntivi». Un tema su cui Mario Monti è molto sensibile. Nel suo discorso alle camere il premier ha fortemente sostenuto il ddl aggiungendo una postilla che aleggia nel dibattito europeo: l’introduzione di una sorta di authority indipendente che vigili sui conti pubblici. Se così sarà , non solo il parlamento potrà  fare poco o nulla ma anche i ministri potrebbero essere commissariati per sempre rispetto a entrate e uscite. Non è escluso che il governo introduca in aula modifiche al testo parlamentare. Per ora, la norma affida alla Corte dei conti la vigilanza su tutti i bilanci, concedendole il potere di ricorrere alla Consulta in caso di sospette violazioni contabili.
Vincolare i bilanci alla disciplina ferrea delle compatibilità  europee è un impegno che tutti i governi, incluso Berlusconi, hanno preso nel marzo scorso con il cosiddetto patto «Euro plus», che recepiva la riforma tedesca del 2009. Da allora quell’impegno è rimasto in naftalina finché la Bce, nella famosa lettera del 5 agosto, ci ha chiesto di onorarlo. Il 10 novembre le commissioni hanno terminato i lavori (tra i 14 esperti consultati figura anche il neoministro Giarda). Se nel 2012 la legge sarà  approvata definitivamente con una larga maggioranza anche qui, come in Spagna, non ci sarà  nessun referendum confermativo dei cittadini.
Oltreoceano la «regola aurea» è un cavallo di battaglia dei repubblicani ed è una «priorità  assoluta» per la maggioranza guidata da John Boehner. Ma i sogni anti-deficit della destra Usa si sono infranti il 15 novembre scorso, quando l’emendamento costituzionale sul pareggio di bilancio è stato bocciato dalla camera, mancando di 23 voti il quorum dei due terzi richiesto.
Finora dei grandi paesi europei la Francia ha iniziato l’iter e solo la Spagna l’ha ratificato. Senza benefici visibili, tra l’altro, per i propri «spread». Una contraddizione di cui anche la relazione che accompagna il ddl è consapevole: «In prospettiva il limite all’indebitamento potrebbe risultare addirittura eccessivo» – scrivono Bruno (Pdl) e Giorgetti (Lega) – ma «è chiaro che ci troviamo di fronte a un’emergenza»: «occorre dare un segnale politico forte ai mercati».
Di sicuro non saranno i giuristi a salvare l’economia dal suo fallimento. Legiferare sull’onda dell’emergenza raramente produce buoni risultati, basti pensare ai vari «pacchetti sicurezza» tirati fuori dopo qualche odioso delitto. Ma cambiare la Costituzione sull’onda degli «spread» è perfino peggio. Già  il centrosinistra cambiò il titolo V a pochi giorni dal voto per dare un segnale sul federalismo. Da allora quella mezza riforma ha ingolfato la Consulta di ricorsi. Tra legislazione «esclusiva» e «concorrente» decidere su un mucchio di questioni (per esempio le scelte sul nucleare o le «internalizzazioni» dei precari) è un calvario. Non a caso, questo ddl costituzionale toglie l’«armonizzazione dei bilanci pubblici» dalle competenze concorrenti affidandola a quella «esclusiva» dello stato. Ulteriore dimostrazione che è la politica, non il diritto, a governare le umane sventure.


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