“La moneta unica è già  finita” Le grandi banche pronte al piano B

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NEW YORK. DaGLI USA all’Inghilterra, dal Giappone a Hong Kong, la fine dell’euro è già  realtà . Il piano B, se non esiste ancora per le cancellerie europee, è un’emergenza che le banche americane, inglesi e asiatiche stanno preparando.
Lo rivelano i dirigenti degli organi di vigilanza bancari inglesi e cinesi, nonché i top manager di colossi del credito come Citigroup, Merrill Lynch, Royal Bank of Scotland. Tutti stanno già  mettendo a punto le misure da prendere per affrontare lo “shock finanziario del secolo”, una disgregazione dell’eurozona che ormai non è più considerata un’ipotesi remota. Il tema dominerà  domani a Washington il summit Usa-Ue, ospitato da Barack Obama alla Casa Bianca.
Tra le voci più esplicite figura quella della Financial Services Authority di Londra, l’organo di vigilanza sulle banche britanniche il cui dirigente Andrew Bailey dichiara al New York Times: «Non possiamo considerarci al sicuro, dobbiamo affrontare la prospettiva di un’uscita disordinata di alcuni paesi dall’euro». Su pressione delle autorità  di controllo, istituti come la Royal Bank of Scotland hanno già  messo a punto al loro interno i piani sul da farsi, di fronte alla disintegrazione dell’eurozona, per limitare i danni sui propri bilanci. Bruce van Saun, direttore finanziario della Bank of Scotland, conferma che all’interno dell’istituto vengono simulati sotto forma di “stress test” tutti gli scenari legati all’espulsione di alcuni Stati membri dall’euro, le conseguenze, e le misure da prendere perché l’impatto non sia troppo catastrofico anche per chi sta fuori dall’euro. Un’altra banca inglese, la Barclays, ha appena pubblicato i risultati di un’indagine compiuta fra i suoi 1.000 clienti più importanti (tra cui figurano aziende multinazionali e investitori istituzionali come i fondi pensione): ormai la metà  dà  per scontato che almeno un paese membro abbandonerà  l’eurozona.
All’altro capo del mondo, la giapponese Nomura ha reso noto un rapporto dalla conclusione inequivocabile: «Una disintegrazione dell’euro ora appare più probabile che possibile». L’organo di vigilanza di Hong Kong, la più importante piazza finanziaria per i cinesi, ha rafforzato i suoi controlli e un monitoraggio speciale sull’esposizione delle banche locali verso la crisi europea. In quanto agli Stati Uniti, il New York Times conferma che le autorità  di vigilanza stanno mettendo sotto pressione banche come Citigroup, perché riducano al minimo i loro portafogli di titoli europei, sia che si tratti di buoni del Tesoro, o di azioni bancarie. Il rischio naturalmente è di imboccare la strada delle “profezie che si auto avverano”: più cresce l’allarme ufficiale, più gli investitori esteri sotto pressione dalle proprie autorità  di controllo si liberano dei titoli europei, più gli Stati come Grecia Italia Spagna fanno fatica a collocare i propri bond e la crisi dell’euro si avvita su se stessa.
D’altra parte la percezione negli Stati Uniti è quella di una crisi che ha superato i singoli paesi e non può essere risolta ad Atene o a Roma: lo dimostrano i recenti downgrading del Belgio, le minacce sulla Francia, il rialzo dei rendimenti che colpisce perfino i Bund tedeschi. Merrill Lynch, la filiale di Bank of America che gestisce tutta l’attività  d’investimento, ha pubblicato uno scenario che analizza nei dettagli tutte le conseguenze di una disintegrazione dell’eurozona. Nella simulazione di Merrill Lynch si includono Italia, Francia, Spagna e Portogallo tra gli Stati che potrebbero ricominciare a stampare moneta nazionale: lire, franchi, pesete, escudos. La banca americana arriva a prevedere le svalutazioni di queste monete sul dollaro, nonché le rivalutazioni che colpirebbero i neo-marchi tedeschi e i neo-fiorini olandesi, anch’essi nati dall’ipotetica dissoluzione dell’eurozona. Colpisce gli osservatori americani, il fatto che questo tipo di scenari non siano elaborati dalle stesse banche dell’eurozona. Questa divaricazione sarà  il punto di partenza, nel summit di domani a Washington: Obama tornerà  a premere sui vertici Ue perché reagiscano alla deriva, prima che sia troppo tardi.


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