“Preghiera islamica all’università ” la battaglia di Melek, Torino a un bivio

by Sergio Segio | 21 Novembre 2011 7:28

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TORINO – Aule, luoghi di studio accoglienti, laboratori. E poi uno spazio appartato per la preghiera del mezzogiorno, del pomeriggio e del tramonto. È quel che si aspetta di trovare Melek, una giovane studentessa turca, in partenza per Torino per la facoltà  di Scienze, dove ha in mente di frequentare un corso di laurea specialistica a partire da dicembre. Ha scritto in segreteria in questi giorni per accertarsi che sia tutto in regola, che la sua routine di vita di studentessa musulmana possa proseguire come a casa: un panino tra una lezione e l’altra, un caffè con i compagni, una preghiera in solitudine. E l’ateneo si pone per la prima volta di fronte a questo tema, se sia corretto o meno riservare uno spazio dell’Università  pubblica alla preghiera degli studenti musulmani.
«È una questione che dovremo discutere in ateneo prima di prendere una decisione – dice il prorettore dell’Università  di Torino, Sergio Roda – non abbiamo ovviamente nessun pregiudizio ma è giusto porre la questione attribuendole l’adeguata importanza, senza ridurla a un mero problema di spazi. Però una soluzione la troveremo di certo». Sono trascorsi pochi mesi dalla storica sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha dato ragione all’Italia sul caso dei crocifissi nelle scuole pubbliche. I giudici di Strasburgo hanno assolto il nostro Paese dall’accusa di violazione dei diritti umani per l’esposizione del simbolo religioso nelle aule scolastiche. Oggi l’internazionalizzazione delle università  pone nuovamente il tema, però ribaltato.
Melek è una studentessa come tante a Torino. Il Politecnico ha visto crescere le iscrizioni di stranieri del 21 per cento solo quest’anno alle facoltà  di Ingegneria, e all’Università  i ragazzi che provengono da altri Paesi sono ormai il 6 per cento del totale. Può capitare, passando per i corridoi poco dopo mezzogiorno, di vedere qualcuno di loro che prega negli spazi comuni, magari solo un poco appartato. E allora perché nessuno prima d’ora ha avanzato una simile pretesa? «Probabilmente la studentessa turca che ha chiesto all’Università  di poter avere uno spazio per pregare, considera la questione un fatto normale – spiega Jalila Ferrero, italiana convertita all’Islam, presidente dell’Accademia Isa (Interreligious Studies Academy) – il fatto che sia una donna non le impone più riservatezza, forse però è motivo di maggiore sensibilità . Non vorrà  essere additata dai compagni, o sentirsi mal giudicata».
Una strada simile è stata intrapresa, sempre a Torino, per la prima volta in un ospedale pubblico. È stato messo a disposizione di malati, parenti e medici, un ampio spazio battezzato «la stanza del silenzio», dove non sono esposti simboli religiosi di alcun tipo, ma dove chiunque ne senta il bisogno può essere libero di pregare il proprio dio. «È importante che questo tema si ponga in un contesto così diverso come quello dell’Università  – dice Yahya Pallavicini, vicepresidente della comunità  religiosa islamica italiana e consulente del ministro dell’Interno nel Comitato dell’Islam italiano – non possiamo certo trasformare un’aula universitaria in un convento talebano ma non possiamo disconoscere neppure la direzione nelle quale è andata società , che chiede oggi anche nei confronti delle persone di fede musulmana incontro e dialogo in una sana dimensione di laicità ».

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