SEGNALE DA ASCOLTARE

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I due premier sono stati sostituiti da personalità  organiche all’establishment sovranazionale, molto simili per fisionomia al “podestà  forestiero” evocato l’agosto scorso da Mario Monti. Tale “stato d’eccezione” si rivela humus ideale per la germinazione delle più fantasiose teorie cospirative. Chi si nasconde dietro all’uso intimidatorio della parola “mercati”? È impressionante la disinvoltura con cui il populismo di destra, non appena disarcionato il suo governo che pure s’era ridotto a comitato d’affari privati, rispolvera la propaganda in auge nei periodi più bui del secolo scorso: i banchieri venduti alle centrali straniere, i circoli anglofoni, la patria in ostaggio di agenti infiltrati, l’internazionale massonica…
I giovani senza futuro che nel corso del 2011 hanno dato vita a una rivolta mondiale contro l’ingiustizia di questo disordine economico, all’improvviso si ritrovano così di fianco imitatori spregiudicati d’opposta sponda. Per quanto ciò risulti paradossale, berlusconiani e leghisti indossano la maschera dell’anticapitalismo indignado. E loro, gli studenti in lotta? A quanto pare non sembrano preoccuparsene.
“Né Monti, né Tremonti”, giocano con la rima. Dirigono il corteo contro l’università  Bocconi da cui proviene il nuovo presidente del Consiglio e, se interviene la polizia a fermarli, lo dirottano sulla Cattolica, il cui rettore è divenuto ministro della Cultura. Quanto al nuovo responsabile dell’Istruzione, Francesco Profumo, la sua autorevolezza lo rende ai loro occhi addirittura peggiore della Gelmini. Poco gli importa se il giorno prima a picchettare la sede della Goldman Sachs ci sono andati niente meno che i giovani del Pdl (ignari degli affari intrattenuti dall’azienda del loro leader con tale istituzione finanziaria). Le dimostrazioni scaricano a casaccio la protesta contro “il governo dei banchieri” imbrattando filiali di Unicredit e Intesa Sanpaolo a Palermo, circondando l’Abi a Milano o la sede della Banca d’Italia a Firenze.
C’è qualcosa di funesto nel manifestare contro luoghi del sapere come le università  “colpevoli” solo di essere private, contrapponendo studenti a studenti. Così come è sintomo di disperazione prendere di mira gli sportelli Bancomat, simbolo di un reddito da cui si sentono preclusi.
Ma una volta condannati con nettezza gli episodi di violenza e le caricature insulse del “nemico”, sarà  bene che il nuovo governo, e prima ancora la sinistra democratica che lo sostiene, evitino di prendere sottogamba le ragioni di tanta furia indistinta. Un conto sono le strumentalizzazioni della destra oligarchica e populista, ben altra le motivazioni imprescindibili della rabbia giovanile.
Appare evidente che nell’Italia del 2011 non è più replicabile la stagione dei governi tecnici che realizzarono vent’anni fa il risanamento finanziario e l’ingresso dell’Italia nell’euro con il decisivo sostegno dei sindacati e dei partiti di sinistra. Nonostante il prestigio degli artefici di quella stagione, troppo diffusa rimane la consapevolezza del prezzo pagato all’epoca dai ceti popolari, in termini di decurtazioni nel reddito e perdita di posti di lavoro, senza che ne derivassero le promesse contropartite di investimenti da parte della classe imprenditoriale.
Il collasso del capitalismo finanziario e l’attacco speculativo ai debiti sovrani mutano completamente lo scenario. Chi ha patito la crisi, mentre vedeva gonfiarsi a dismisura i guadagni di una ristretta minoranza, invano ha atteso una correzione di tale stortura. E ora manifesta la sua ostilità  non solo contro la classe politica, ma più ancora contro i potenti dell’economia.
La nomina di un “banchiere di sistema”, Corrado Passera, a responsabile delle politiche industriali del governo Monti, a prescindere dalle capacità  personali dell’interessato, non favorisce certo la necessaria sintonia fra nuova classe dirigente e sentimenti popolari. Qualcuno dovrà  pur dare rappresentanza politica alla diffusa richiesta di giustizia sociale se non si vuole che essa cada preda della demagogia scatenata a destra e delle suggestioni cospirative trasversali. Rifiutare l’ineluttabilità  dei diktat che piovono sull’Italia da un altrove lontano, e fare i conti con lo strapotere della finanza, diventano per la sinistra priorità  non rinviabili a una “seconda fase” del risanamento. Pena il ripudio della sua missione storica, già  incrinatasi allorquando – nelle emergenze del passato – prevalse la teoria dei nobili sacrifici intesi come un “farsi carico” da parte della classe operaia dei destini della nazione. Col risultato che sappiamo.
Ormai è chiaro a tutti che la depressione in cui precipita l’Occidente non è frutto degli “eccessi” del capitalismo finanziario fondato sul debito, ma della sua stessa natura strutturale. Per questo i tecnici chiamati oggi a cimentarsi con un difficilissimo tentativo di salvataggio, non hanno altra scelta che trasformarsi in politici coraggiosi, tutt’altro che neutrali. Tocca loro delineare un’incisiva riforma del sistema di cui essi stessi hanno in taluni casi personalmente beneficiato; se non vogliono entrare in una disastrosa rotta di collisione con la gioventù precaria che oggi, a torto o a ragione, non li beneficia di alcuna distinzione rispetto a chi li ha preceduti.


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