Spaventa il rischio Eurolandia gli Usa e i Paesi emergenti in fuga dalla moneta unica

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Prima il rischio Grecia. Poi, il rischio Spagna, il rischio Italia, il rischio Francia. Alla fine, nel giro di poche settimane, la situazione si è incancrenita a tal punto, che si comincia a parlare di rischio Europa. Il flop dell’asta di ieri dei supersicuri Bund tedeschi ha scatenato, infatti un’onda di paura nel mondo della finanza, spingendo chi, nella City di Londra, ha ancora qualche riserva di ironia a sottolineare che “la Germania ha un biglietto di prima classe, ma sul Titanic”. Il transatlantico che affonda è l’intero sistema del debito pubblico dell’eurozona, dove la debolezza delle banche starebbe aprendo falle nei tradizionali sistemi di finanziamento, anche nei paesi più solidi e, fino a ieri, intoccabili.
In realtà , il cattivo andamento dell’asta dei Bund non è un inedito e, anziché segnare una svolta, potrebbe essere solo un passo falso momentaneo. Da qualche giorno, tuttavia, la convinzione che il Bund fosse, sempre e comunque, un rifugio sicuro si era fatta più labile. Il motivo lo spiega bene il titolo con cui la Bild, ieri, apriva la prima pagina: “Tutto il mondo vuole i nostri soldi”. In buona sostanza, i mercati cominciano a calcolare che, se la Germania finisse per pagare il conto dei deficit degli altri paesi dell’eurozona, neanche le finanze tedesche apparirebbero più tanto solide, da giustificare la corsa al Bund degli ultimi mesi. Nell’immediato, un indebolimento dei titoli tedeschi è una bruttissima notizia anche per tutti gli altri. Il temuto spread, il differenziale con i Bund, resterebbe immutato (come è sostanzialmente avvenuto ieri), ma a prezzo di una deriva verso l’alto, a livelli sempre meno sostenibili, anche dei tassi di interesse che devono pagare gli altri paesi: ieri, il rendimento sul Btp decennale italiano è tornato a sfiorare il 7 per cento.
Il flop tedesco inquieta anche di più, perché conferma l’impressione che i mercati siano, ormai, dominati dal panico, che impedisce di distinguere fra i titoli del Continente. La conferma viene dall’Austria, dove le finanze sono più solide – in termini di deficit e di debito – anche di quelle tedesche, ma dove lo spread con il Bund è, ormai, uguale a quello francese. La fibrillazione psicologica dei mercati ha, tuttavia, radici concrete. Il problema è che si stanno prosciugando le fonti di finanziamento del debito pubblico europeo. Scappano gli stranieri. Banche e fondi americani hanno già  tagliato (nella misura di almeno 700 miliardi di dollari) la loro esposizione verso l’Europa. Ma anche i paesi emergenti si stanno ritirando. Le loro banche centrali che, fino al 2008, investivano fino al 29 per cento delle loro crescenti riserve in euro (sostanzialmente in titoli pubblici), sono scese al 22 per cento, fra il 2009 e il 2010, e al 17 per cento nella prima metà  del 2011. La falla più grossa, però, è quella delle banche europee, comprese quelle tedesche, tradizionalmente protagoniste assolute sui mercati dei titoli pubblici. Detto in due parole, non hanno più soldi. Preoccupate della solidità  l’una dell’altra, hanno smesso di prestarseli reciprocamente. Per rifornirsi di liquidità , stanno ricorrendo massicciamente alla Banca centrale europea. Martedì, i prestiti ad una settimana della Bce alle banche sono arrivati al record di 247 miliardi di euro, cifre che non si vedevano dal 2009.
Il punto è che la stessa crisi dei debiti pubblici costringe le banche (che avevano, per lo più, concentrato le loro riserve nei titoli di Stato) a cercare nuovi capitali. Ma questo sforzo di ricapitalizzazione si somma alla necessità  di trovare i fondi per restituire i propri debiti. Le stime dicono che le banche europee, entro il 2012, devono rimborsare debiti per 800 miliardi di euro. E, nel momento in cui ne avrebbero più bisogno, si sta restringendo la loro più consistente fonte di finanziamento, tradizionale punto di forza del sistema bancario europeo: i depositi. Non ci sono le condizioni per parlare di una corsa agli sportelli, a ritirare i propri risparmi, per infilarli nel materasso o portarli in Svizzera, è prematuro. A chiudere i conti, più che singoli risparmiatori, sono le aziende, le finanziarie. Ma i dati di una ricerca degli analisti di Citigroup sono inquietanti. Nel terzo trimestre, i depositi nelle banche spagnole sono diminuiti di 48 miliardi di euro, circa il 2 per cento. Cinque delle sei maggiori banche del paese hanno visto ridursi i depositi e questo vale anche per le cinque maggiori banche italiane. Secondo Citigroup, fra la primavera e l’estate, i depositi a Unicredit sono calati da 273 a 246 miliardi di euro, oltre il 10 per cento, a Intesa da 145 a 122 miliardi di euro. La fuga riguarda anche la Francia: i depositi a Société Générale sono scesi da 143 a 132 miliardi di euro.
Il fenomeno comincia a emergere anche dalle statistiche più generali. Secondo i dati della Banca d’Italia, fra aprile e settembre, i depositi in conto corrente sono scesi da 791 a 774 miliardi di euro.


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