Telekom Serbia, dieci anni a Marini

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ROMA – La cosiddetta «operazione Telekom Serbia» con cui, nel 2003, la maggioranza parlamentare di centro-destra tentò di liquidare l’allora leadership del centro-sinistra, accusandola di corruzione internazionale, fu costruita sul dossieraggio criminale di «un’associazione a delinquere finalizzata alla calunnia». Ci sono voluti otto anni per mettere un primo punto giudiziario a questa «verità », svelata da un’inchiesta di “Repubblica”, cui lavorò Giuseppe D’Avanzo. Ma, ora, quel punto è arrivato. Con la sentenza del Tribunale di Roma che, ieri, ha condannato Igor Marini, protagonista e ventriloquo di quel «falso», a 10 anni di reclusione, al versamento di una «provvisionale immediatamente esecutiva» di 1 milione di euro e al risarcimento nei confronti delle vittime della sua diffamazione (Francesco Rutelli, Lamberto e Donatella Dini, Walter Veltroni, Piero Fassino, Clemente Mastella, Romano Prodi) di un danno quantificato in 100 mila euro da riconoscere a ciascuna parte lesa.
La sentenza, che ha in parte ridotto le richieste di pena avanzate dai pm Giuseppe De Falco e Francesca Loy (12 anni), ha condannato anche Maurizio De Simone, complice di Marini, a 4 anni e 6 mesi, mentre ha mandato assolti per «prescrizione del reato» altri nove imputati della “corte dei miracoli” di cui il falsario si era circondato (tra questi, l’avvocato Fabrizio Paoletti, Giovanni Romanazzi e Antonio Volpe). In carcere, dunque, va, o meglio resta (perché già  detenuto per un’altra condanna per calunnia definitiva a 5 anni), il solo Igor Marini, ex facchino del mercato ortofrutticolo di Brescia, conte fasullo e altrettanto fasullo broker finanziario. L’uomo cui viene affidato, in quel 2003, l’incarico di accreditare con documenti bancari farlocchi il pagamento di 120 milioni di dollari di tangenti su inesistenti conti di “Mortadella” (Prodi), “Cicogna” (Fassino) e “Ranocchio” (Dini). Il prezzo – dice Marini di fronte alla allora Commissione parlamentare di inchiesta sul caso Telekom Serbia – pagato per l’operazione che, nel 1997, ha visto l’acquisizione da parte di Telecom Italia della “Telekom Serbia”, l’azienda telefonica di Stato del regime di Slobodan Milosevic (un pessimo e costosissimo affare gravato da una pesante ombra di corruzione internazionale, come una prima inchiesta di “Repubblica” ha documentato nel febbraio del 2001). L’accusa è terminale. E trova, oltre che in Parlamento, la sua vetrina nel “Giornale” diretto allora da Maurizio Belpietro, con una campagna di stampa costruita con largo anticipo (Marini è in contatto con il quotidiano 8 mesi prima di apparire sul proscenio parlamentare) e dispiegata con 32 titoli di “apertura” di prima pagina. Una campagna di «fango» camuffata da giornalismo, appunto.
Il processo di Roma si chiude con domande inevase (Chi e a che prezzo ha ingaggiato Marini?). Ma conferma oggi quello che D’Avanzo scriveva: «Quella che si mosse nell’autunno del 2003, raccontata da “Repubblica”, fu la madre delle operazioni lavorate dalla macchina del fango». Da allora, quella macchina non ha mai smesso di lavorare.


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