Titoli di Stato a prezzi stracciati

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MILANO – «Non vendete. Tenete duro». E ancora: «Calma e sangue freddo». Il consiglio di gestori e analisti è sempre lo stesso e ormai lo ripetono quasi in coro: «Le perdite accumulate sono già  in portafoglio, vendere ora le attualizzerebbe soltanto, mentre aspettando c’è spazio per recuperare». Soprattutto se si tratta di titoli di Stato italiani che garantiscono ancora una cedola annuale fissa e il rimborso dell’intero valore nominale alla scadenza del prestito obbligazionario.
Meglio quindi aspettare, ma c’è anche chi è costretto a vendere. Magari per comprare casa, oppure per far fronte a una spesa imprevista. E c’è anche chi davvero pensa che l’Italia non ce la faccia a uscire dalla crisi, che la strada intrapresa con la corsa del debito, porti al destino della Grecia. E magari uno stralcio del valore nominale dei titoli come successo per Atene. Tradotto: alla scadenza delle obbligazioni lo Stato greco non restituirà  il valore nominale dei titoli, ma solo il suo 50%. Come a dire che 10mila euro si ridurrebbero di colpo a 5mila.
Un’eventualità  estremamente remota per l’Italia, ma che i mercati iniziano a prendere in considerazione. Solo così si spiega la corsa dei rendimenti offerti per acquistare Btp con scadenza a 10 anni: ieri sono arrivati al 7,4% con un differenziale di 552 punti nei confronti dei titoli decennali tedeschi. E sì perché il rischio cresce e il mercato per investire chiede un premio più alto. Ma rendimenti più alti si traducono anche in prezzi nominali più bassi.
E così i piccoli risparmiatori stanno iniziando a fare i loro conti: vendere o non vendere? Con la consapevolezza che ogni emissione ha una storia diversa, come quella che avrà  l’asta Bot da 5 miliardi in calendario per oggi. Sono in perdita netta quanti abbiano sottoscritto titoli di Stato nell’ultimo anno. Diecimila euro nel decennale emesso lo scorso primo marzo valgono 8.394 euro senza alcuna cedola: comprarlo oggi sul mercato sarebbe però un affare, con un rendimento del 6,31% fino al 2021. E lo stesso vale per il 5 anni emesso nell’aprile del 2010 che oggi costa 8.750 euro con una cedola annua di 300 euro e un rendimento al prezzo di mercato del 6,43% fino al 2015; e per il 3 anni di giugno 2010: vale 9.275 euro, con una cedola di 200 euro e un rendimento annuo fino al 2013 del 6,26%.
Se proprio si è costretti a vendere, meglio cedere obbligazioni che abbiano già  qualche anno d’anzianità : tre o quattro almeno, in modo che le cedole incassate siano sufficienti a coprire la differenza sul prezzo pagato e quello attuale di mercato. Per esempio, 10mila euro investiti acquistando il decennale emesso il primo agosto 2006 con scadenza al 2016, al prezzo di oggi valgono 8.625 euro. Cedendo oggi sul mercato il titolo si accuserebbe una perdita in conto capitale di 1.375 euro, alleviata però dalla cedola fissa del 3,75% che in cinque anni ha reso 1.875 euro. Vendere significa quindi monetizzare le perdite: arrivare fino a scadenza, invece, vorrebbe dire incassare complessivamente 13.750 euro rispetto ai 10 mila euro iniziali. Per contro, chi pensa che il debito pubblico italiano verrà  rimborsato senza problemi, può comprare oggi il titolo sul mercato a un prezzo di 86,25 punti garantendosi un rendimento annuo del 6,48% fino al 2016, oltre al rimborso di 10mila euro.
È in una buona situazione anche chi ha acquistato per 10mila euro il Btp a 30 anni emesso il primo febbraio 2002. In 9 anni ha incassato cedole per 5.175 euro, vendendo oggi a 80 punti incasserebbe 8mila euro con una plusvalenza complessiva di 3.175 euro. Ma se lo tenesse fino al 2033 il rendimento netto a scadenza sarebbe ben superiore, del 6,78% all’anno. Lo stesso vale per il trentennale emesso al 5% il primo agosto 2003. Oggi vale 72,52 punti (7.252 euro) che con 8 anni di cedole diventano 11.252 euro.


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