Unicredit pronta a lanciare il maxi aumento

Loading

MILANO – Ben pochi invidiano i manager Unicredit, che a giorni decidono se ricapitalizzare tra gli imponderabili dei mercati e dei regolatori. Tuttavia, come dice un insider, «i «compiti a casa sono stati fatti». Piano industriale e terza ricapitalizzazione di Piazza Cordusio sono pronti: si attendono le novità  del G20 di Cannes – la banca dovrebbe entrare tra le “sistemiche”, con necessità  extra di capitale –, le eventuali altre intemperanze della Borsa, e una sperata buona parola di Bankitalia sui 3 miliardi di bond Cashes, che gli investitori considerano patrimonio primario (ma l’Eba no).
Senza colpi di scena, il cda di lunedì 14 esaminerà  un piano prudente, senza svolazzi e con tagli di costi e focus sulla banca retail, e una parallela ricapitalizzazione fino a 7 miliardi di euro, tutta in diritti di opzione – già  c’è il nodo Cashes, da risolvere – magari con un nuovo socio straniero che entri a fermo, poi arrotondi con i diritti di opzione. La scelta, cui il team guidato da Federico Ghizzoni sarebbe giunto dopo sudate analisi, ha alla base uno zelo spiegato dall’eccezionale turbolenza finanziaria – ieri l’azione ha ripreso un 7,34% a 0,79 euro, ma tratta ben sotto il valore tangibile di libro – e dalla scadenza del vertice Unicredit ad aprile. Investire dell’aumento il nuovo cda è ritenuto un azzardo, come anche arrischiare il rinnovo del vertice per inedia. Un altro argomento è la generazione prospettica di capitale, messa in sordina dal revival della crisi. I conti giugno-settembre, esaminati il 14, ne daranno prova di questo: il consensus vede l’utile netto a 6 milioni, da 344 di un anno prima.
Ghizzoni e i suoi hanno approfondito ogni variabile soggettiva, per un’altra settimana osserveranno quelle esterne per vedere se lo schema “tiene”. Ma tutto è già  pronto, compresa la presentazione a Milano il 15, prima del road show su Londra e Usa. Fino al consorzio di garanzia, imperniato su Mediobanca ma che includerà  Merrill Lynch, Deutsche Bank, Goldman Sachs. In lizza anche Ubs, Credit Suisse e altri, perché data la situazione non sarà  una passeggiata. Anzi: andrà  tranquillizzato al massimo il mercato, e gli arbitraggisti che probabilmente si scaglieranno su diritti e titoli. A questo fine Unicredit e il consorzio studiano due mosse. La prima, una lettera come quella che fecero i soci forti di Intesa Sanpaolo a primavera, per dire subito che un tot di azioni sarà  sottoscritto. Le grandi Fondazioni di Piazza Cordusio hanno circa il 13% e ci sono, ma si può arrivare al 22% con Allianz (2%), Aabar (5%), Lia (2,5%) e Banca di Libia (4,6%), anche se c’è incertezza sull’adesione per intero degli azionisti libici, che contano per il 7,1%. Una seconda mossa è la ricerca di un socio di peso, che tra management e advisor sarebbe inseguito tra Russia e Cina (in forma di fondi sovrani) o Stati Uniti (investitori istituzionali). Non è chiaro l’esito dei sondaggi, ma c’è la possibilità  di avere un nuovo azionista “alla Bonomi”, che ha raccolto il 2,9% prima dell’aumento Bpm e ora arrotonda coi diritti.
Pronto all’annuncio anche il piano triennale, che dovrebbe prevedere dati e stime per singole divisioni (metodo “bottom up”) e comportare tagli – anche di personale – nell’investment banking e nel risparmio gestito (Pioneer). Malgrado i ritorni non esaltanti e le difficoltà  venture (specie in Italia, con la raccolta basata su uno spread di 440 punti base) si punterà  sulla banca commerciale, il cui futuro appare più luminoso in Est Europa e Turchia.


Related Articles

Cina, picconata al capitalismo di Stato

Loading

Arriva una nuova spallata neoliberista in vista del futuro grande cambiamento della leadership cinese. Il Development Research Center (in cinese Guà³wùyuà n fāzhÇŽn yà¡njiÅ« zhōngxÄ«n), un think tank che dipende direttamente dal Consiglio di Stato (leggi “governo”), ha coprodotto con la Banca Mondiale un rapporto che prevede una crisi della Cina se non si metterà  mano al settore delle grandi imprese statali. Il documento “China 2030”sarà  presentato lunedì prossimo, ma il Wall Street Journal ne anticipa i contenuti: sostiene che il governo dovrà  dismettere progressivamente le proprie quote e affidare la gestione delle imprese a banche d’investimento. Detto in altri termini, chiede alla Cina di rinunciare al modello economico che l’ha fatta crescere a ritmi vertiginosi per trent’anni: il capitalismo di Stato.

Offensiva legale delle banche contro i capitali chiesti dall’Europa

Loading

Mussari: l’Authority sbaglia. Conti, niente costi per i pensionati

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment