Al Qaeda apre il fronte africano
WASHINGTON — Una strage di cristiani il giorno di Natale a Madalla, Nigeria. La prova, sanguinosa, del fronte Africa aperto dai seguaci di Osama. L’ultimo massacro porta la rivendicazione del Boko Haram. Sigla che vuole dire «l’educazione (occidentale) è peccato» e orna la bandiera dei «talebani africani». I terroristi hanno piazzato una autobomba davanti ad una chiesa di Madalla: nell’esplosione sono morte 35 persone. Vittime salite ad oltre un centinaio in seguito a scontri avvenuti nelle ore successive in altre parti del Paese. L’eccidio ha causato una condanna internazionale sintetizzata dalle parole del Papa. Benedetto XVI ha espresso la sua «profonda tristezza» per le persecuzioni contro i cristiani. Violenze non solo in Nigeria ma anche in Medio Oriente. Quello che il Pontefice ha definito «un gesto assurdo» fa parte purtroppo di una tendenza. I qaedisti — veri o affiliati — si sono fatti strada usando i tradizionali sistemi: uomini-bomba, attacchi simultanei, colpi per suscitare faide religiose. I confini porosi degli Stati, il crollo dei regimi nordafricani e l’abilità nello sfruttare le opportunità hanno fatto il resto.
L’attentato di Boko Haram conferma quanto sta avvenendo nello scacchiere da circa due anni. Gruppo locale, fautore della Sharia, il movimento ha subito una scissione. La componente storica è stata scavalcata dai duri dell’attuale leader Abu Bakr Shekan, allineati su una linea jihadista «internazionalista». Gli estremisti hanno «studiato» ed hanno intensificato i legami con gli Shabab somali, i talebani ma sopratutto con i militanti di «Al Qaeda nella terra del Maghreb» (Aqim), il punto di riferimento regionale. Sfruttando la povertà nel nord della Nigeria, così come la risposta indiscriminata della polizia, Boko Haram è riuscita a raccogliere nuovi seguaci. Il rapporto con Aqim ha portato all’uso dei kamikaze. La liberazione da parte delle autorità di alcuni quadri — un gesto sollecitato dalla comunità musulmana — ha messo a disposizione del movimento operativi subito passati all’offensiva.
A giudizio dell’intelligence la «frattura» nigeriana è ancora più preoccupante perché si salda con quella provocata più a nord da Aqim. La fazione, nata in Algeria, conta oggi i libici, mauritani, maliani, saharawi e nigerini. E’ divisa in diversi falangi a volte in competizione per la gestione dei sequestri di cittadini occidentali. Tra questi tre italiani, compresa Rossella Urru, presa dal nucleo scissionista «Jamat Tawhid», banda dove sono confluiti ex guerriglieri del Polisario, a riprova di come gli estremisti possano diventare un polo d’attrazione.
I rapimenti garantiscono fondi illimitati. Altri arrivano dal contrabbando di armi e cocaina. Un mercato accresciuto dalla fine di Gheddafi. Aqim si è inserita per ampliare le relazioni con i qaedisti libici e ottenere materiale bellico con l’aiuto dei tuareg. Si è creata una zona grigia — come l’area di Wagadou e il nord del Mali — dove il binomio terrorismo/criminalità è diventato una pianta dalle radici inestricabili quanto profonde. Parliamo di un quadrante che può diventare un nuovo santuario dell’eversione. Lo dicono sviluppi recenti. Numerosi capi qaedisti — hanno rivelato fonti inglesi al quotidiano The Guardian — si sono spostati in Nord Africa. Falcidiati dagli attacchi alleati, con risorse ridotte, hanno valutato che la sponda sud del Mediterraneo sia meno pericolosa per loro. Inoltre è un ritorno alle origini e il trampolino ideale per rilanciarsi. Una visione che rappresenta la Libia e l’Egitto (dove è comparsa la firma Ansar Al Jihad del Sinai) quali avamposti formidabili. La ricetta è propaganda e azione. Con l’aggiunta di traffici di armi che dal Sudan arrivano fino a Gaza.
A Washington — e nelle altre capitali occidentali — si segue tutto ciò con apprensione. Tanto è vero che gli Usa hanno inviato reparti di forze speciali — anche in Nigeria — per dare una mano ai governi in difficoltà . Ultima mossa in una guerra segreta che nessuno sa quando terminerà .
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