Darfur, liberato l’ostaggio di Emergency

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«Sto bene, sono a pezzi dalla stanchezza ma sto bene». Sono quasi le 20 quando Francesco Azzarà , il volontario italiano di Emergency rapito nel Darfur del Sud il 14 agosto, telefona a Gino Strada dall’aeroporto di Khartoum, dove lo hanno appena accompagnato i servizi di intelligence sudanesi: dopo 124 giorni di prigionia, l’incubo è finito. Ad accogliere in aeroporto il “logista” dell’ospedale italiano di Emergency a Nyala, la capitale del Darfur del Sud, c’è Rossella Miccio, la dirigente di Emergency che ha tenuto il bandolo della matassa in questi mesi e che già  stamattina lo riporterà  a Roma. La barba lunga da non riconoscerlo, la abbraccia in lacrime.
Gli danno un telefono, lui chiama subito famiglia e amici: «Ragazzi arrivo, il Natale lo facciamo insieme! Non ci credevo più… Sono felicissimo, mi hanno trattato bene ma sono distrutto: mi guardavano a vista, chiuso in una stanza. Non ero legato, ma non potevo muovermi molto e per quattro mesi mi hanno dato da mangiare solo cibo locale e ho cominciato ad avere problemi intestinali».
«La situazione era delicatissima – racconta Gino Strada, felicissimo – non tanto per concludere al meglio la trattativa quanto per lo scenario in cui si svolgeva, in una situazione fuori controllo per la sicurezza e in un’area infestata da bande. “Gino, avrai buone notizie very very soon”, molto presto, mi avevano assicurato i più alti funzionari sudanesi due giorni fa. Ma a un certo punto si era sparsa una voce incontrollabile secondo cui c’era stato un conflitto a fuoco e ho avuto il cuore in gola fino alla sua telefonata». Non c’è stato nessun blitz, invece, solo «una grande soddisfazione – dice il ministro degli Esteri, Giulio Terzi – frutto di un impegno congiunto dell’Unità  di crisi e degli organismi che si sono occupati della vicenda, ma anche di Emergency. Non sono informato di eventuali pagamenti di un riscatto». «Non so i rapitori cosa abbiano chiesto e cosa abbiano ottenuto dalle autorità  del Darfur – aggiunge Strada – e non necessariamente si tratta di denaro, ma i servizi sudanesi hanno agito con calma ed estrema prudenza». «Era stato rapito da una banda di delinquenti comuni – racconta la figlia, Cecilia Strada, presidente di Emergency – e nell’area in questo momento ci sono 34 persone, tutte sudanesi, rapite come lui. Un riscatto? A noi nessuno ha mai chiesto niente».
Non c’erano ancora conferme ufficiali e già  don Severino strigliava a festa le campane, a Motta San Giovanni: tra le seimila anime del paese calabrese in cui il cooperante 34enne è nato, un regalo di Natale come questo non se lo aspettavano. Invece, ora i genitori possono davvero festeggiare. Erano a Roma, ieri: hanno incontrato l’ambasciatore sudanese, poi venendo via hanno ricevuto la telefonata più importante della loro vita. Nelle mani di gruppi armati in Africa, però, restano altri nove italiani: proprio ieri gli uomini del Fronte polisario hanno arrestato undici persone coinvolte nel sequestro di Rossella Urru, la cooperante del Comitato italiano sviluppo dei popoli rapita con due spagnoli in Algeria il 23 ottobre.


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