Diplomazia e guerra (come in Libia): senza Londra è un rebus

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Senza i britannici, però, diventa semplicemente velleitario ragionare, con qualche credibilità , di politica estera e sicurezza comune (la vecchia Pesc), di difesa congiunta, di voce unica alle Nazioni unite. Insomma di tutte quelle cose che fanno la differenza tra una sbiadita comparsa e una vera potenza politica, prima ancora che militare, sulla scena mondiale. I principi base del Trattato di Lisbona assegnano all’Unione un ruolo diplomatico «propulsivo». E da questo punto di vista la Gran Bretagna rappresenta per l’Europa quello che la Germania è sul piano dell’economia. Due leadership finora distinte e non intercambiabili, come si è visto, per citare l’esempio più recente, nella crisi libica. La primavera scorsa, il premier inglese David Cameron (insieme con il presidente francese Nikolas Sarkozy) è stato subito il più determinato. Giusto o sbagliato che fosse, pronto a cacciare Gheddafi anche da solo, qualora la Nato avesse ancora esitato a mandare i caccia in appoggio ai ribelli. Nel frattempo la cancelliera Angela Merkel restava intrappolata nel minimalismo politico-militare che ancora sconta le colpe della Seconda guerra mondiale. Certo, da sempre i capi del governo di Sua Maestà , (laburisti o conservatori non fa differenza), collocano la Gran Bretagna in uno spazio equidistante tra gli «alleati» americani e gli «amici» europei. Con l’avvertenza che se obbligati a scegliere non avrebbero dubbi: sempre e comunque con Washington (la riprova nel 2003 nella guerra con l’Iraq). Questa riserva esplicita, anzi ostentata, ha oggettivamente frenato il processo di integrazione con gli «amici europei». Frenato, ma non annullato. Non è un caso se la Gran Bretagna ha preteso per sé la carica di Alto rappresentante per gli affari esteri della Ue. E non è senza significato che nessuno degli altri 26 partner abbia sollevato obiezioni, accogliendo con onori persino esagerati la baronessa Catherine Ashton. In realtà  in Europa, quando si tratta di diplomazia e difesa, la Gran Bretagna si confronta davvero solo con la Francia: I vecchi alleati dell’«Entente cordiale», i vincitori della seconda guerra mondiale, le uniche due potenze nucleari del Vecchio continente (Russia esclusa), i due Paesi europei che siedono tra i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza Onu (e quindi con diritto di veto sulle decisioni cruciali). Negli ultimi 10-15 anni prima il presidente Jacques Chirac, poi il suo successore Nicolas Sarkozy si sono impegnati a fondo per restare agganciati agli inglesi, portandosi dietro, più per inerzia che per convinzione, il resto del treno europeo. Nel 1998, all’indomani delle guerre balcaniche che avevano mostrato a tutto il mondo l’impotenza della Ue, Chirac e Blair siglarono l’accordo di Saint Malò che, per la prima volta, prevedeva «il dispiegamento congiunto» di mezzi militari all’interno o, attenzione, anche «all’esterno» della Nato. Poi arrivò la divisione sulla guerra con l’Iraq. Ma la collaborazione militare continuò sotto traccia e il 2 novembre 2010 Cameron e Sarkozy conclusero un ambizioso accordo di durata cinquantennale, che prevedeva, tra l’altro, la condivisione delle portaerei, di una brigata di 10 mila soldati, ma soprattutto lo sviluppo futuro degli arsenali nucleari. Ancora una volta l’asse franco-britannico dovrebbe fare da piattaforma per l’intera Europa. Dovrebbe, perché ora tutto ciò rischia di andare perso, se è vero, come ha scritto ieri il quotidiano Guardian, che dopo lo strappo sull’euro Londra si prepara, se non a un divorzio formale, a un disimpegno sostanziale dall’Unione europea. Giuseppe Sarcina


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