Don Verzé: “Giudicatemi pure, io come Cristo”

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MILANO – Si sente come Gesù Cristo in croce, tempestato di insulti, anche se il Signore per andare a diffondere la buona novella camminava a piedi nel deserto, mentre lui ha scelto di volare con un jet da 20 milioni di euro. Don Luigi Verzé, il fondatore del San Raffaele, l’ospedale finito in bancarotta con debiti da 1,5 miliardi di euro, ha scelto non di parlare, ma di affidare a una lettera pubblica il suo pensiero.
«Non leggo da mesi la stampa: ho pensato di fare come Gesù Cristo che dopo aver guarito tanti ammalati e dopo averci donato una dottrina salvatrice, fu arrestato, calunniato e condannato alla croce: non si è difeso», è l’esordio della missiva. In realtà , Don Verzé è solo indagato, in carcere c’è finito un fornitore del San Raffaele, Pierangelo Daccò, lui non è stato calunniato e la croce al momento l’ha portata solo il suo ex braccio destro, Mario Cal, morto suicida lo scorso luglio. Secondo la sua ricostruzione dei fatti, il suo merito sarebbe quello di aver donato una sanità  dignitosa ai più poveri.
Il cammino è iniziato quando il 12 gennaio 1950 fu convocato a Verona da don Giovanni Calabria e gli disse: «Il Signore – trascrive don Verzé nella lettera – ti vuole a Milano, Là  nascerà  un’Opera che farà  parlar di sé l’Europa intera». Una frase che subito dopo il prete chiosa in questo modo. «Guardando l’Angelo San Raffaele che sovrasta l’intera opera, debbo riconoscere che quella profezia si è avverata».
Peccato, però, che per costruire e montare sull’ospedale quell’arcangelo in vetroresina e acciaio inox, alto 8,3 metri, capace di resistere al vento e allo smog della tangenziale Est che passa lì sotto ci sono voluti 2,5 milioni di euro. E altri 50 milioni sono stati spesi per tirar su l’edificio sul quale è appoggiato. Più che l’avveramento della profezia, il cupolone e l’arcangelo sono diventati i simboli degli sperperi del San Raffaele, insieme con il jet privato e la compravendita di aerei, che hanno ben poco a che fare con la missione di un ospedale e la carità  cristiana.
«Sì, è vero, un aereo, il dott. Mario Cal, mio vice presidente esecutivo, mi propose di acquistarlo per risparmiare tempo e fatiche, sempre disponibile per andare in India, a Daharamsala (Tibet), in Africa, in America Latina, oltre che a Roma, a Cagliari, a Olbia, a Taranto, in Sicilia, ecc, dove la dottrina del San Raffaele venisse conosciuta e realizzata: dare tutto quello che si ha per guarire gli ammalati anche poverissimi, così come insegna Gesù: “Andate, insegnate, guarite, mondate i lebbrosi”». Cosa poi andasse a fare quello stesso aereo in un paradiso fiscale come San Martin e perché, secondo le carte della procura, portasse a bordo imprenditori come Daccò e politici del calibro di Roberto Formigoni, il governatore della Lombardia, don Verzé lo spiegherà  ai magistrati.
Del resto è lui stesso a offrirsi agli inquirenti, rivendicando per sé «l’intera responsabilità  morale e giuridica di quanto avvenuto per il San Raffaele». Con una precisazione, però, che don Verzé tiene a sottolineare: «Non so come Mario Cal abbia gestito nei particolari la sua funzione». Un dettaglio importante, dal punto di vista giuridico, perché, a partire dalla fine degli anni 90, don Verzé aveva rimesso ogni delega nelle mani di Cal dopo essere stato condannato in via definitiva per abuso edilizio (aveva costruito senza permessi buona parte della palazzina di ingresso del San Raffaele, per poi sanarla). Un modo elegante per evitare che con una nuova eventuale condanna per una qualsiasi altra vicenda, la pena di poco più di cinque mesi, inflittagli dal Tribunale di Milano, potesse diventare da sospesa a effettiva. Una croce, di fatto, passata al suo vice, Mario Cal.


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