Due presidenti per il Congo, torna l’incubo della guerra civile
Ha prestato giuramento, poi ha fatto schierare i carri armati per le strade di Kinshasa. Joseph Kabila, 40 anni, figlio dell’ex presidente Laurent, l’uomo che pose fine all’oppressione di Mobutu Sese Seko, gioca d’anticipo: si riprende le redini del potere e si autoproclama ufficialmente presidente della Repubblica democratica del Congo, al secondo mandato. Solo il dittatore dello Zimbabwe, Robert Mugabe, ieri era presente alla cerimonia. L’altra decina di paesi africani ha scelto di mandare i primi ministri. Una presa di distanza significativa. La sua elezione è contestata dal leader dell’opposizione e principale avversario Etienne Tshisekedi, 78 anni, a sua volta autoproclamato capo dell’immenso, e ricchissimo, stato africano. Anche lui, ha annunciato, giurerà come presidente venerdì prossimo in una cerimonia allo stadio dei Martiri dove ha convocato una folla oceanica.
L’ex Congo belga rischia di vivere una situazione simile a quella della Costa d’Avorio. Con due leader politici che si proclamano vincitori delle elezioni del 28 novembre scorso e con entrambi i contendenti che tirano dritto rischiando di innestare una guerra civile. Con una differenza: in Costa d’Avorio la vittoria dichiarata da Laurent Gbgabo cozzava contro la realtà dei voti che attribuiva la maggioranza dei consensi al suo rivale Alassane Ouattarà ; nella Repubblica democratica del Congo si parla apertamente di brogli e la vittoria attribuita a Joseph Kabila dallo spoglio delle schede, viene messa in discussione dagli osservatori, dalla Fondazione Carter e dallo stesso cardinale Laurent Monsengwo, massimo rappresentante della Chiesa in un paese profondamente cattolico.
Per garantire libere consultazioni, l’alto prelato aveva messo in moto la più grande rete di osservatori mai vista in Africa: ben 30 mila volontari e sacerdoti si erano sparpagliati nel paese, anche nelle regioni più remote, e avevano controllato la regolarità dello spoglio. I brogli erano apparsi subito evidenti. Si denunciava la presenza di schede già riempite, ritardi nell’apertura dei seggi, intimidazioni e pressioni sui votanti. I risultati hanno avuto quattro giorni di ritardo. La Commissione elettorale indipendente parlava di difficoltà logistiche e di trasporto delle schede scrutinate. Dopo un lungo e teso conteggio, Jospeh Kabila è risultato vincitore con il 48,95 per cento dei voti; Etienne Tshisekedi si era invece fermato al 32,33. I dati sono stati contestati dall’opposizione, con manifestazioni nel paese e in molte città del mondo. Dalla comunità internazionale per ora poche reazioni. Gli Usa però hanno espresso «profonda delusione» per la decisione della Corte suprema che ha avallato il risultato elettorale.
Intanto la presa di posizione del cardinale Monsengwo ha dato vigore alle proteste di Tshisekedi. Ma gli interessi che legano Kabila alle grandi multinazionali rendono la situazione particolarmente difficile. L’ex Congo è una miniera di materie prime: tutti hanno bisogno del suo tesoro che si nasconde sotto terra e nessuno ci vuole rinunciare. Kabila, reduce da un primo mandato, rappresenta continuità e garanzia per i contratti di estrazione dei minerali; per Tshisekedi è l’ultima occasione per governare un paese che ha sempre visto all’opposizione: dietro le sbarre e in esilio.
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