Esplode la rivolta dei pescatori

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«Non era mai successo prima che il Partito comunista cinese perdesse completamente il controllo, i 20.000 abitanti di questo villaggio di pescatori nel Sud sono ormai apertamente in rivolta. L’ultimo di una decina di funzionari è scappato lunedì, dopo che migliaia di persone, resistendo ai gas lacrimogeni e ai cannoni ad acqua, avevano impedito agli agenti armati di riprendere il villaggio». Iniziava così ieri la corrispondenza per il Telegraph di Malcolm Moore – l’unico giornalista straniero all’interno di Wukan – che sta raccontando la sommossa contro il «furto delle terre» ad opera di funzionari corrotti. La situazione nel piccolo centro della provincia meridionale del Guandong era tesa da tempo, ma a farla esplodere è stata la morte in carcere del 43enne Xue Jinbo, uno dei 13 «rappresentanti temporanei» della popolazione. Xue era stato arrestato la settimana scorsa assieme ad altri quattro leader della protesta, perché accusato di essere «un criminale» coinvolto nelle manifestazioni di tre mesi fa, quando Wukan si sollevò contro le autorità  locali che volevano cedere ai costruttori anche gli ultimi ettari di terreno coltivabile. 
Dopo tre giorni di detenzione, domenica scorsa Xue è deceduto, ufficialmente per «un malore improvviso». I parenti dell’attivista – riferisce l’agenzia Reuters – sostengono invece che sia stato percosso e torturato e chiedono che venga restituita loro la salma.
Moore descrive una Wukan sotto assedio: a nessun residente è permesso di uscire, non vengono fatti entrare cibo né acqua, centinaia di agenti in assetto anti sommossa circondano il centro. Il villaggio è in mano agli insorti: deserti gli uffici governativi, le stazioni di polizia sono state tappezzate con l’immagine e il necrologio di Xue, definito un «eroe del popolo».
«La terra è dei funzionari corrotti?» chiede retoricamente uno degli striscioni dei dimostranti, le cui foto sono apparse anche sui microblog prima di essere rimosse dalla censura. E un altro svela il carattere non anti-sistema della protesta: «Partito e governo centrale, per favore salvate la madre patria da questi rapaci insaziabili!» 
«Pensiamo di poter resistere da dieci a 12 giorni – ha detto al reporter britannico Zhang Xiaoping, proprietaria di un chiosco -. Stiamo utilizzando un corridoio col villaggio vicino per far entrare con le motociclette carne e verdura, ma ogni viaggio richiede un’ora». 
Gli abitanti di Wukan protestano da mesi perché – accusano – funzionari locali corrotti, in combutta con gli immobiliaristi, gli hanno sottratto centinaia di ettari di terre senza le dovute compensazioni. Una situazione comune a molte zone della Cina, dove nelle aree rurali, a riparo da occhi indiscreti, si consumano soprusi a danno di popolazioni poco consapevoli delle leggi e a volte prive della documentazione che attesti i loro diritti sulle terre. 
Rivolte come questa di Wukan vengono classificate tra le decine di migliaia di «incidenti di massa» che ogni anno si verificano nella Repubblica popolare e spesso prendono di mira la condotta di funzionari locali corrotti. E anche questa volta Pechino potrebbe decidere di punire in maniera esemplare le «mele marce», venendo incontro alle richieste dei rivoltosi. Lo suggerisce il buon senso, perché nel Guandong, una delle province più popolose, ricche e industrializzate del paese, alle frequenti manifestazioni contro il «furto delle terre nelle ultime settimane si sono aggiunte le inquietudini e le proteste per il rallentamento dell’economia. 
E perché i rivoltosi di Wukan non desistono: «Vogliamo che ammettano la responsabilità  per quel che è accaduto a settembre, quando la polizia ci massacrò, che riconoscano la legalità  delle nostre richieste e che ci restituiscano la terra».


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