Fiat, lo strappo che rompe l’unità  sindacale

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La firma dell’accordo separato tra Marchionne, Fim e Uilm più i sindacati di complemento Fismic, Ugl e Associazione quadri, è attesa per questa mattina. È un accordo-truffa che potrebbe essere sottoscritto senza neanche consultare i lavoratori interessati e che estenderebbe il contratto di Pomigliano a tutti gli insediamenti Fiat. Ciò significa che il contratto nazionale di lavoro non esisterà  più (e la Fiat, come insegna la storia padronale italiana, fa scuola), così come non esisterà  più la Fiom nelle fabbriche perché chi non si piega ai diktat del padrone delle ferriere deve scomparire. I delegati non saranno più eletti dai lavoratori ma nominati dalle organizzazioni sindacali firmatarie, e in modo non rappresentativo del consenso reale. Consenso che nessuno potrà  più conoscere essendo negato dal contratto «aziendale» il diritto, oltre che di sciopero, di malattia e di trattativa sulle condizioni di lavoro, anche di poter votare delegati e accordi.
Non ci vuole molto, dunque, a capire le ragioni dei metalmeccanici nel raddoppio di ore e contenuti dello sciopero generale unitario di tre ore indetto in extremis da Cgil, Cisl e Uil. Per salvare questa unità  precaria dell’ultima ora, però, lo strappo Fiat è scomparso dalle rivendicazioni, ma è destinato a riesplodere in tutta la sua durezza un minuto dopo la firma (eventuale, diciamo per scaramanzia) dell’accordo separato. Il risultato della giornata di lotta di ieri è che ai presidi di Cgil, Cisl e Uil si sono aggiunte le manifestazioni della Fiom nelle principali città , da Torino a Genova, ad Ancona. In Emilia e a Brescia, invece, le 8 ore della Fiom sono state assunte dalle Camere del lavoro che sono scese in piazza insieme ai loro metalmeccanici, provocando a Bologna sia il disappunto della segretaria generale confederale Susanna Camusso, che la scelta di Cisl e Uil di non scendere in piazza insieme alla Cgil.
L’adesione allo sciopero dei lavoratori metalmeccanici è stata molto alta, in particolare negli stabilimenti della Fiat e della Fincantieri. La cantieristica attraversa un momento drammatico segnato dalla chiusura dell’insediamento storico di Sestri e dall’estensione della cassa integrazione a tutti i dipendenti. Il governo Monti è chiamato a dire la sua, sia sulla strategia liquidatoria e antidemocratica di Marchionne che su quella non meno devastante della Fincantieri, e su quest’ultima in particolare il governo ha ancor più voce in capitolo, essendone il maggior azionista.


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