Gli inglesi divisi E dopo lo strappo ora Cameron frena

by Sergio Segio | 14 Dicembre 2011 8:08

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Se oggi si andasse alle urne, il primo partito del Regno Unito sarebbe il laburista con il 40 per cento dei consensi, i tory sarebbero dietro di un punto, i liberaldemocratici dimezzerebbero (10%).
E non è tutto: perché si scopre che in un eventuale referendum sull’uscita dalla Ue il risultato non sarebbe scontato. È vero che i contrari all’Europa sono davanti (43%) ma i favorevoli incalzano (36%) e gli incerti sono tanti (21%). Insomma, grande incertezza.
Ecco perché Downing Street, dopo avere incassato il dividendo per avere mandato all’aria il tavolo europeo, cerca di rassicurare che Londra non si tirerà  indietro dai suoi impegni comunitari e soprattutto di recuperare il rapporto con gli alleati di governo. Il numero uno dei liberaldemocratici, Nick Clegg, lunedì ha disertato la seduta della Camera dei Comuni convocata per ascoltare la relazione del premier. «L’ho fatto per non attirare troppo l’attenzione su di me». Ha spiegato, ben sapendo che l’effetto sarebbe stato proprio il contrario. L’assenza di Clegg ha marcato il distacco con i tory.
Il trionfalismo della prima ora, interpretato dai tabloid come il Sun e il Daily Mail, lascia ora il passo alla necessità  di analisi meno scontate. L’impennata dei liberaldemocratici piace ai giornali vicini ai laburisti (Independent e Guardian), preoccupati che Londra si stia cacciando in un vicolo cieco. Ma impone anche al Times e al Daily Telegraph, fiancheggiatori del premier, di non spingere troppo sull’acceleratore.
Entrambi i quotidiani hanno appoggiato lo strappo, adesso ne temono le conseguenze politiche: la coalizione rischia di sfaldarsi in un momento delicato per l’economia del Paese. Ragion per cui il Times invita «alla elasticità » e i due partner a venirsi incontro: non è in discussione la rottura con l’Europa, semmai occorre rimodellarne le relazioni. Il Daily Telegraph se la prende con la «retorica ridondante della marginalizzazione di Londra», esercizio inutile perché l’Europa è ancora lì, il nuovo trattato non è stato ancora ratificato e «le conseguenze di quanto avvenuto venerdì sono incerte». Il no «catartico» e fermo di Cameron è stato utile. Però segnala con una sua editorialista, Mary Riddell, che la questione Europa ha riavvicinato i laburisti ai liberaldemocratici e si domanda se l’assenza di Clegg ai Comuni non prefiguri una nuova futura coalizione.
È troppo presto per potere solo immaginare conseguenze tanto traumatiche. Resta il fatto che Cameron ha cominciato a tirare il freno a mano. Il pragmatismo inglese alla fine torna a galla. Il Financial Times se ne fa interprete: il premier «inesperto» ha peccato di «una strategia inetta», scrive uno dei vicedirettori (Philip Stephens), e in un secondo editoriale l’autorevole giornale economico invita tanto Cameron quanto Clegg a impegnarsi per «salvare l’accordo europeo» in quanto le conseguenze, nel caso in cui saltasse, sarebbero pesantissime sia per l’area euro sia per il Regno Unito. Downing Street è dunque più cauta e dopo avere mostrato i muscoli comincia a chiedersi se vi siano spazi di manovra per una mediazione. Il populismo non paga.

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