Gli insorti con il futuro alle spalle

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C’era una volta la fantascienza come letteratura d’anticipazione: si prendevano elementi del presente e si seguivano nella loro possibile evoluzione fino ad arrivare a costruire un mondo futuro. Il nuovo universo, spesso, presentava caratteristiche oscure, negative contro cui i protagonisti si trovavano a confrontarsi. Si pensi a tutte le storie ambientate dopo una catastrofe, spesso nucleare, o alle distopie come 1984 di George Orwell. 
Da un po’ di tempo qualcosa sembra cambiato. E se in passato si poteva parlare di futuri alternativi o possibili, oggi, forse, ha più senso parlare di presenti – o al massimo di futuri molto prossimi – alternativi o possibili. Insomma, è come se la metafora si fosse dislocata cronologicamente: non più in un tempo lontano, ma adesso, ora, nel nostro quotidiano. Tale procedimento ha preso l’avvio, probabilmente, nel campo del fumetto supereoistico, dove il meccanismo sembra essere più naturale in quanto tutto avviene in un universo contamporaneo al nostro ma «altro». Si pensi, a tale proposito, a saghe come Terra di nessuno della DC o a Dark Reign della Marvel, dove, rispettivamente, la città  di Batman viene abbandonata dal governo americano e isolata dal resto del paese e dove i villain prendono in pratica il potere negli Usa.
La crisi delle economie occidentali, dell’Europa e in particolare dell’Italia non poteva non rappresentare un succulento spunto per costruire un romanzo sulle possibili e quasi immediate evoluzioni della situazione attuale. Nasce così il nuovo libro di Matteo Speroni, Brigate nonni. I ribelli del tramonto (Cooper, pp. 256, euro 14), incentrato sulla storia di un gruppo rivoluzionario composto soprattutto da anziani, oltre che emarginati e migranti, che si trova ad operare, appunto, in futuro vicino, all’interno del nostro paese. 
Gli elementi di fondo della situazione presente ci sono praticamente tutti, seppur estremizzati: la crisi internazionale, il debito pubblico, il lavoro nero e precario, la corruzione e la dissolutezza della classe politica, le tendenze separatistiche, l’individualismo e l’egoismo esasperato. Solo che la bolla è esplosa. Non ci sono più neppure i soldi per pagare le pensioni, nonostante le cosiddete riforme attuate che avevano portato a tagli drastici con conseguente ulteriore impoverimento dei pensionati. Riforme che ricordano in maniera impressionante quelle attuate dal governo Monti. La catastrofe è tale che si arriva ad organizzare squadre paramilitari che hanno il compito di uccidere «il numero più alto possibile di neopensionati per abbattere il costo sociale della vecchiaia».
Su questo sfondo – tra moti e rivolte, dichiarazioni regionali di indipendenza e creazione di spazi autogestiti all’interno delle città  – si muovono i componenti della «Stella del Mattino», la frangia milanese più importante delle Brigate Nonni, «il gruppo di rivoluzionari meglio organizzato, più numeroso ed esperto». Un pugno di persone guidato da Vincent, ex-tassista appassionato di semiotica. I nuovi anziani guerriglieri si muovono in una Milano dark, divisa in ghetti e suk, in vista della «grande operazione di primavera» che li vedrà  tra i protagonisti principali e che dovrà  rappresentare un grande balzo in avanti nella lotta che conducono da tempo, e che avrà  un esito del tutto inaspettato.
Loro contraltare la coppia di poliziotti formata dal capitano Franco Palude e dall’agente Chiambrotti, sbirri onesti, costretti ad operare tra i disastri causati dalla crisi – primo fra tutti la cronica mancanza di carburante per le auto di servizio – e sotto il comando di dirigenti corrotti e legati al potere. La narrazione si sviluppa seguendo le vicende di questi e pochi altri personaggi, offrendo, al contempo, un quadro incisivo degli eventi, delle motivazioni anche personali, della situazione generale. E, soprattutto, facendo emergere una critica davvero corrosiva ed impietosa non solo del potere, ma anche delle persone, di parte dei cittadini, quasi trasformati geneticamente, corrotti da decenni di sudditanza nei confronti dell’ideologia dominante, fondata su egoismo e ignoranza, su servilismo e prepotenza. Il tutto arricchito da una scrittura agile e veloce, in grado di cimentarsi col comico e col grottesco – esilarante in tal senso la progressiva trasformazione dei separatisti nordisti in Nostristi e poi in Ioisti, che «predicavano la totale guerresca violenta difesa dell’io, anche all’interno della famiglia» – ma capace anche di raccontare affetti e solidarietà  in modo toccante senza mai scadere nel patetico o nel dolciastro. In grado, inoltre, di far emergere, con piccoli tocchi, l’anima più profonda di una città  come Milano, rappresentata come ferita e umiliata ma, allo stesso tempo, come il centro nevralgico, il punto di coordinamento della ribellione in nome di un futuro diverso. Un futuro che, paradossalmente, sembra poter essere attuato proprio da quelli che letteralmente hanno meno futuro o non ce l’hanno affatto, in quanto già  in cammino lungo il viale del tramonto, ma che proprio per questo «non avevano più nulla da perdere».


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