Il Ricatto dell’Iran sulla Rotta del Petrolio

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WASHINGTON — La coreografia è la solita. L’Iran minaccia, l’Occidente ammonisce. Il prezzo del petrolio sobbalza sotto gli effetti delle notizie. E si studiano le opzioni, anche le peggiori.

A rendere tutti nervosi il guanto di sfida — peraltro non inedito — lanciato da Teheran. «Se ci saranno altre sanzioni contro di noi, bloccheremo lo stretto di Hormuz», ha avvertito martedì il vice presidente iraniano Mohammad Rahimi. Ieri si è pronunciato, con una mezza smentita, il comandante della Marina, Habibollah Sayyari: «Sarebbe facile per noi chiuderlo. Come bere un bicchiere d’acqua. Ma non è necessario farlo perché già  lo controlliamo». E fonti del ministero del Petrolio citate dal Washington Post hanno lasciato capire come la pensino: «Sarebbe un suicidio». Segnali che fanno pensare a una marcia indietro bilanciata dalla copertura mediatica delle estese esercitazioni iraniane nel Golfo Persico.
I fulmini lanciati da Teheran non potevano però essere ignorati. Il Pentagono ha risposto con un comunicato della V Flotta, quella che ha la sua base in Bahrein. «Qualsiasi atto per interrompere il traffico marittimo non sarà  tollerato. La via d’acqua è vitale». Parole ferme anche da Parigi e dall’Unione Europea con l’impegno, insieme a Washington, di varare nuove misure contro l’Iran. Una punizione per la sua ricerca dell’atomica. L’appuntamento chiave sarà  alla fine del mese e dovrebbe portare a sanzioni che colpiscano il settore petrolifero-finanziario iraniano riducendo al minimo l’import di greggio. Obiettivo che la Casa Bianca vuole conseguire senza creare troppi danni agli alleati. Europei, giapponesi e sud coreani si trovano nella non facile situazione di stare al fianco degli Usa e, al tempo stesso, di salvaguardare — in tempi di crisi — le ottime relazioni economiche con gli iraniani. A Teheran questo lo sanno bene, non a caso ritirano fuori la carta Hormuz. Lo hanno già  fatto in passato giocando sui numeri dello Stretto. Da qui transita oltre un terzo del greggio mondiale, oltre 15 milioni di barili al giorno e di questi quattro milioni vengono dai pozzi iraniani. Dunque la chiusura avrebbe effetti catastrofici sulle povere economie già  in recessione. Per questo ieri i sauditi, preoccupati dalle ambizioni atomiche degli ayatollah, hanno offerto di colmare l’eventuale gap. Gesto che ha portato a un ribasso del prezzo dell’oro nero.
Insieme alle pressioni diplomatiche gli Stati Uniti continuano a considerare l’ipotesi — ancora remota — di un attacco ai siti atomici. L’ultima indiscrezione — sul Daily Beast — riferisce di contatti stretti con Israele per fissare delle linee rosse sul nucleare. Se Teheran le varcherà  potrebbe scattare il blitz invocato da una parte dell’establishment israeliano.
In questa cornice, i pericoli di un blocco di Hormuz sono stati a lungo considerati. L’Us Navy ha elaborato diverse analisi per sottolineare le possibili minacce. È chiaro che l’Iran, in caso di una crisi, adotterà  la guerra asimmetrica. Non ha scelta, lo ha ribadito anche in questi giorni. Una strategia che prevede una serie di «iniziative» per ostacolare il flusso lungo la vena giugulare del Golfo e far piangere il nemico. Vediamo in sintesi i piani. 1) Gli attacchi «a sciami» affidati a dozzine di battelli veloci dotati di missili o a imbarcazioni con a bordo kamikaze: una simulazione americana ha rivelato che i danni potrebbero essere seri. 2) Uso di sottomarini. Gli «squali» iraniani non sono proprio moderni, ma ne hanno sviluppato alcuni modelli — come il Ghadir — adatti a incursioni nei porti avversari o per le attività  di disturbo. 3) Sabotaggi affidati a uomini rana che utilizzano «siluri guidati», mezzi simili ai «maiali» italiani della Seconda guerra mondiale. 4) Dispersione di mine, come avvenne negli anni 80 durante il conflitto con l’Iraq. Hanno diverse unità  concepite per queste missioni: alcune sono propriamente militari, altre sono mercantili camuffati. 5) Scudo affidato a missili anti-nave schierati sulle coste e sulla strategica isola di Abu Musa. 6) Mosse diversive in altri scacchieri per accrescere il caos. Esempio: un mercantile fatto affondare nel canale di Suez, magari con un finto incidente. Oppure ancora mine.
L’arsenale dell’Iran si è preparato e ha esperienza. In questi anni ha fatto la spesa in Cina, Corea del Nord, Russia ma anche in Italia. Tecnologia e modelli (motoscafi veloci, minisub) sono passati, in modo legale o meno, dal nostro Paese alla Marina dei pasdaran. Proprio il Ghadir sarebbe un ibrido dove c’è un po’ di «sapere» italiano mescolato a quello nord coreano.
C’è poi un secondo scenario che è quello dove Teheran è maestra. La provocazione. Gli iraniani possono causare «incidenti» con ispezioni sui cargo in transito, effettuare manovre aggressive in prossimità  di navi americane, fermare un mercantile accusandolo di aver violato le acque nazionali. Casi già  avvenuti in passato che hanno spesso mostrato la difficoltà  per l’Occidente di reagire. Sulla terraferma i mullah assaltano le ambasciate, sul mare fanno i bulli con i loro «giocattoli» veloci. Sfruttano ogni occasione per segnare punti a favore. La cattura del super drone, i processi alle spie (vere o presunte), gli annunci a effetto li aiutano a rispondere alla guerra segreta condotta contro i loro impianti strategici. E lanciano un messaggio: non abbiamo la vostra potenza, ma possiamo rendervi la vita molto difficile.


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