In Russia il crollo di Putin avanzano i comunisti

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Mosca. C’È una festa repressa per le strade di Russia. Frenata, con autoblindo e transenne, sulla piazza Triumfalnaja di Mosca; dispersa, anche con qualche manganellata, sulla prospettiva Nevskij della città  di San Pietroburgo.
Nel tredicesimo anno di potere indiscusso, Vladimir Putin ha subito la sua prima batosta elettorale. Ha vinto sì le elezioni politiche ma il suo partito è letteralmente crollato nei consensi: dal 64,3 percento conquistato nel 2007 ad meno del 50 per cento. O addirittura al 45,5 secondo alcuni exit poll meno filo governativi. Percentuali che hanno oscillato per tutta la notte con i lenti scrutini di un paese grande quanto nove fusi orari. Ma le proporzioni non lasciano dubbi.
E la sconfitta personale era tutta nel volto livido del premier apparso in tv dopo un’ora di silenzio e di tensione tra le alte sfere del partito Russia Unita. Un Putin mai visto, terreo, frastornato. Per la prima volta assisteva senza un solo sorriso di superiorità  al discorso del presidente Dmitri Medvedev mandato avanti a fargli da apripista nel momento più cupo per il cosiddetto tandem al potere. Più sereno, forse perfino personalmente rafforzato dal disastro del partito, Medvedev ha abbozzato un sorriso e ha usato il suo cavallo di battaglia più collaudato: «Questa è la forza della democrazia. La nuova Duma esprime il pensiero reale dei russi». Poi, preso da un eccesso di slancio, ha azzardato: «Abbiamo il 50 percento ma in futuro potrebbe addirittura presentarsi la necessità  di cercare alleanze per formare un governo. Non ci sarebbe niente di strano». Troppo anche per il Putin amareggiato e depresso di ieri sera. Preso il microfono, ottenuto il primo piano, ha subito chiarito: «Russia Unita ha vinto le elezioni ed è in grado di garantire la stabilità  del Paese. Ringrazio tutti quelli che, nonostante la crisi, hanno votato per noi». Punto e fine del collegamento. Mentre nelle strade continuavano i tentativi di manifestare.
Giovani delle varie associazioni per i diritti umani, ambientalisti, automobilisti organizzati, militanti del partito comunista con tanto di falci e martello sulle bandiere rosse, hanno messo a dura prova lo schieramento delle forze speciali mandate in massa nelle grandi città  dal giorno prima del voto. Avevano striscioni e slogan fuori tempo: contro i brogli, contro le elezioni farsa, la dittatura di Putin. Nemmeno loro si aspettavano un risultato simile. «Ma i brogli e le pressioni ci sono stati, massicci e spudorati – rideva beato sulla via Tverskaja intasata di automezzi della polizia, Ivan Melnikov, vicepresidente del Partito Comunista – Questo, vuol dire che pochissimi hanno votato per Putin. E che lui lo sa». Certamente dovrà  tenerne conto prima del 4 marzo quando si ricandiderà  alla Presidenza per prolungare di almeno altri sei anni il suo controllo del Paese.
Di certo il risultato è impietoso per la popolarità  del premier. Al di là  di ogni previsione l’avanzata dei comunisti di Zhjuganov, già  secondo partito di Russia con il 12 per cento e adesso proiettati verso il 20. Premiati per aver clamorosamente rotto con il partito di governo, i socialpopulisti di Russia Giusta il cui motto è “Madrepatria-pensionati-vita”: quando erano una costola del partito di Putin avevano il 7,4. Adesso, che sono in aperta e coraggiosa rottura, sono intorno al 13. Si contendono il terzo posto con i Liberaldemocratici del pittoresco Zhirinovskij che ha sfruttato da par suo le campagne di rabbia contro le minoranze etniche, la voglia di ordine e di campagne anti corruzione. Non si tratta di un’opposizione particolarmente dura con il potere ma adesso che è diventata più forte sarà  più difficile da gestire. Yabloko, l’unico partito democratico ammesso alle elezioni, annaspa attorno al 5 per cento cercando di strappare una concessione che comunque finirebbe per condizionarla. Nella legge russa che prevede lo sbarramento del 7 percento c’è infatti una singolare scappatoia: il partito di maggioranza può concedere una rappresentanza di due seggi a chi si è fermato al 6 percento e di un seggio a chi ha raggiunto almeno il cinque. Una sorta di premio di consolazione che potrebbe essere consegnato a Grigorij Yavlinskij, fondatore di Yabloko, e garanzia internazionale di presentabilità .
Rinchiuso nel suo ufficio della Casa Bianca, Putin ha trascorso la notte a valutare ogni dato. Terrorizzati decine di fidati collaboratori che erano stati «ritenuti personalmente responsabili di eventuali insuccessi». L’offensiva di Russia Unita era stata pesante. Contro l’opposizione, con l’invenzione a tavolino di decine di migliaia di voti. E con il boicottaggio sistematico di ogni contestatore. Solo a tarda sera, dopo un inspiegabile attacco di hacker, hanno ripreso a funzionare i siti web dei blogger ribelli e perfino del moderatissimo quotidiano Kommersant. Solo nella notte Aleksej Navalnjy, amatissimo blogger anticorruzione, inventore della definizione di “Partito dei ladri” per Russia Unita, ha potuto lanciare in rete la sua gioia: «Avevo ragione, i fischi dell’Olimpiskij erano l’inizio della fine per Putin. Insistiamo». La Primavera è ancora lontana ma il vento è cambiato.


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