INVESTIMENTI PUBBLICI E PIà™ EXPORT

by Editore | 31 Dicembre 2011 7:31

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La crisi del debito pubblico ne è una conseguenza. La Grecia, che non era nelle condizioni di entrare nell’Eurozona, e non è ora aiutata ad uscirne, aggrava la situazione. 
Nell’Unione Europea Monetaria – Uem – alcuni paesi, Grecia, Portogallo e Spagna principalmente, presentano da molti anni un disavanzo elevato delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Per l’Italia, il disavanzo delle partite correnti dura da più di un decennio, anche se è di dimensioni minori (per il 2011 è previsto un disavanzo del 3,5% del Pil). Anche la Francia presenta dal 2005 un disavanzo. Per contro, la Germania, l’Olanda, l’Austria e la Finlandia hanno un persistente avanzo delle partite correnti, di dimensioni notevoli per i primi due paesi. In un regime con cambi fissi ciò avrebbe già  comportato un mutamento delle parità  valutarie a causa dell’accumulo di debito estero per i paesi in disavanzo.
In questa situazione, dall’estate scorsa, si è inserito un peggioramento delle prospettive dell’economia mondiale che ha causato instabilità  finanziaria. Le banche europee, poco capitalizzate, si sono trovate nelle attività  crediti verso imprese e famiglie difficilmente esigibili, e per aumentare la propria liquidità  hanno venduto titoli del debito pubblico dei paesi più esposti al rischio di insolvenza. Ciò ha generato aumenti dei differenziali dei saggi d’interesse fra i paesi con un disavanzo delle partite correnti e la Germania. 
Con quali politiche questi problemi sono affrontati in un’unione monetaria? La deficienza di liquidità  delle banche si risolve con interventi della banca centrale, la quale, però, nel caso dell’Uem può fare poco, per i vincoli dei trattati europei che vietano alla Bce acquisti illimitati di titoli del debito pubblico dell’Eurozona. Gli squilibri della bilancia dei pagamenti sono eliminati facendo variare il cambio reale fra i paesi in disavanzo e quelli in avanzo, agendo in modo che i prezzi nei paesi in disavanzo diminuiscano rispetto ai prezzi nei paesi in avanzo. Ciò rende possibile un aumento delle esportazioni e una diminuzione delle importazioni per i primi, e viceversa per i secondi. 
Gli accordi costitutivi dell’Uem, riaffermati e inaspriti nel vertice del 9 dicembre, si occupano, invece, solo dei disavanzi dei bilanci pubblici. Poiché si dà  troppa importanza agli interessi del settore bancario, si continua ad insistere su politiche fiscali restrittive che gravano sui paesi con un elevato debito pubblico, ma che tentano di mettere al riparo le banche dal rischio di default dei debiti pubblici. Ciò, anche se attenua gli squilibri nelle bilance dei pagamenti, non può che causare una pesante recessione e mettere in forse la stessa riduzione del rapporto fra debito pubblico e Pil. Non è da stupirsi che il famoso spread non si riduca, e che perfino la Germania cominci ad avere difficoltà  a collocare il proprio debito pubblico.
Che cosa può fare l’Italia per uscire da questa situazione? Sono necessari investimenti pubblici che aumentino la domanda aggregata e una dimunuzione del cuneo fiscale che riduca in maniera consistente il costo del lavoro. Con quest’ultimo intervento, efficace in tempi brevi, i prezzi interni diminuiscono, o aumentano meno che all’estero, favorendo non solo le esportazioni e la riduzione del disavanzo delle partite correnti, ma anche un aumento del Pil e dell’occupazione, e una riduzione del rapporto debito Pil. Il cuneo fiscale può essere ridotto diminuendo i contributi sociali e le imposte sui salari. Il problema è come finanziare gli investimenti pubblici e la diminuzione del cuneo fiscale. Per attenuare l’effetto sui consumi delle famiglie, occorre un contrasto efficace dell’evasione fiscale, reintroducendo tutte le misure fatte approvare in proposito dall’ultimo governo Prodi e abolite dal governo Berlusconi, e un aumento delle imposte sulle proprietà  fondiarie e sugli immobili, con esclusione delle prime case.
Sul manifesto di ieri è uscito un bell’articolo (sempre attuale) di Cusin che avevamo già  pubblicato il 30 luglio. Ce ne scusiamo con l’autore e con i lettori

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