La città dei morti d’amianto divisa sui soldi di mister Eternit
CASALE MONFERRATO (Alessandria) — I soldi non hanno odore, come l’amianto. «Cerchiamo di essere realisti: rigettare l’offerta senza valutarla sarebbe un atto ingiustificato e irresponsabile da parte del Comune».
Il sindaco Giorgio Demezzi parla come un uomo che ha già deciso. Entro Natale la proposta indecente, aggettivo che rappresenta l’unico punto d’intesa tra favorevoli e contrari, verrà accettata. Casale Monferrato, la città dei morti d’amianto diventata simbolo in tutto il mondo di una tragedia industriale e irreversibile, accetterà la bozza d’intesa spedita poche settimane fa dai legali di Stephan Schmidheiny. Il miliardario svizzero con residenza in Costarica, principale imputato del processo Eternit, offre una cifra compresa tra i 18 e i 20 milioni di euro in cambio della revoca della costituzione di parte civile del Comune.
L’oscillazione della cifra dipende dal testo finale del documento. La prima bozza prevedeva la definizione di «filantropo» accanto al nome dell’imprenditore proprietario dell’azienda che per quasi un secolo ha diffuso il micidiale polverino d’amianto, unica causa del mesotelioma, l’incurabile tumore della pleura che a Casale ha causato 1.700 morti e andrà avanti ancora per vent’anni almeno. Perché l’amianto non smette mai di uccidere, nel 2011 solo a Casale sono stati diagnosticati altri 47 mesoteliomi. I legali del Comune monferrino stanno studiando una via d’uscita a questo bacio della pantofola. Cercano l’intesa su un nuovo documento che salvi l’apparenza facendo pervenire l’offerta del denaro non da una persona fisica, ma dalla Becon AG, una delle tante società della famiglia Schmidheiny.
«Non è la prima volta che ci prova» racconta Bruno Pesce, il fondatore del Comitato vittime dell’amianto. «Nel 2007 ci aveva convocato nello studio di un legale milanese. Sul tavolo c’erano due enormi vassoi di brioches, e 70 milioni per rinunciare a ogni rivendicazione giudiziaria nei suoi confronti. Non assaggiammo neanche le brioches. Lo svizzero è ossessionato da se stesso. Ma se davvero è un filantropo, perché non propone trattative dopo la sentenza? Capisco che per il Comune la proposta sia allettante. Ma così si buttano via vent’anni di lotta che hanno fatto di questo città un esempio in tutto il mondo». Accanto a lui c’è Romana Blasotti Pavesi, la presidente, carica della quale avrebbe fatto volentieri a meno. L’amianto le ha portato via un marito, una figlia, una sorella, una cugina e un nipote. «Il sindaco è venuto a casa mia — racconta —. Io l’ho guardato e gli ho detto una sola cosa: prima la giustizia, poi i soldi».
Il dilemma di Casale Monferrato è tutto in queste ultime parole della donna che più di tutti ha sofferto per la polvere che uccide in silenzio. Riccardo Coppo, l’ex sindaco democristiano che nel 1987 mise al bando l’amianto con cinque anni di anticipo sulla legge nazionale, non ha dubbi. «La proposta non è accettabile, perché si configura come merce di scambio. Io ti pago, tu rinunci a rappresentare la tua città e le sue vittime nei gradi successivi del processo. Accettare significa diventare complici». Demezzi, ingegnere elettronico, sindaco Pdl dal 2009, non ci sta a passare per un assetato di denaro. «I familiari e le associazioni delle vittime si fanno sentire di più, ma c’è tanta gente che mi incita a prendere quei soldi. Verranno spesi per il completamento delle bonifiche, per la ricerca sul mesotelioma. Come casalese, padre di tre figli con svariati nipoti, devo pensare anche a questo, senza lasciarmi sommergere dall’enfasi».
Una città lacerata, incerta tra l’uovo di oggi, i soldi dello «svizzero», e la gallina di domani, i risarcimenti che forse arriveranno solo al termine dei tre gradi di giudizio. Divisa tra il rispetto della propria storia e la voglia di mettersela alle spalle, tra il timore del futuro e l’assuefazione data da una strage a bassa intensità che ancora continua. Il consigliere comunale Vincenzo Lumello è una settimana che non dorme, e guardandolo in faccia viene da credergli. «Come uomo non avrei dubbi. Da amministratore, cerco di pensare al bene futuro di Casale». È uno dei principali collaboratori del sindaco, eletto anche lui nelle liste del Pdl. Ma è anche il marito di Graziella, madre dei suoi figli, uccisa dal mesotelioma nel 1993. «Decidere è dura in ogni caso. Credo che sarebbe giusto fare un referendum, sentire tutta la popolazione».
La proposta, indecente o meno che sia, ha una data di scadenza. Il processo che vede imputati il quasi centenario magnate belga Jean Louis De Cartier de Marchienne e Schimidheiny, ultimi proprietari dell’Eternit, è finito. Il pubblico ministero Raffaele Guariniello ha chiesto vent’anni per disastro doloso e continuato. L’ultima udienza si è tenuta lo scorso 21 novembre. La prossima è prevista per il 13 febbraio, il giorno della sentenza. In mezzo a questa due date è arrivata l’offerta.
Gli avvocati dello «svizzero» sono stati chiari, è valida solo se accettata prima del verdetto, perché oltre a una indubbia vittoria d’immagine potrebbe produrre effetti immediati già in primo grado, sulla concessione delle attenuanti generiche e sugli altri risarcimenti. E quindi: tanti, maledetti e subito. Oggi il sindaco incontrerà i Comitati per comunicare la sua decisione. «Dirò che bisogna avere il coraggio di andare oltre il dato emotivo e morale». Pecunia non olet, come l’amianto. Come la dignità .
Marco Imarisio
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