La primavera russa

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Mosca. Difficile parlare di speranza e di cambiamento sul cupo boulevard Sinferopolskij, alla periferia Sud di Mosca. Ma in una cella al secondo piano del carcere “Numero 1”, l’uomo più temuto dal governo russo si chiede ancora fin dove possano arrivare quelle migliaia di facce nuove apparse all’improvviso lunedì sera nella pioggia del quartiere borghese Cjstie Prudy. Tutti a urlare con lui contro i brogli, contro Putin e «il suo partito di ladri e corrotti». E a evocare una primavera come quella che ha scosso le piazze arabe, mettendo in allarme gli oligarchi più fidati del Cremlino. Era sorpreso, quella sera, Aleksej Navalnjy, 37 anni, avvocato, consapevole di godere di una fama enorme ma ristretta al mondo di Internet.
«Ma sono usciti tutti dal computer?», si chiedeva stordito mentre stringeva mani guantate di pelle di montone o comunicava in perfetto inglese con altri militanti per confondere i poliziotti che già  si preparavano ad arrestarlo. E spiegava con sintesi da leader: «Un gran colpo. Qui c’è gente che fino a ieri non si sarebbe mai sognata di scendere in strada. Non so dove arriveremo, ma cominciamo a fare paura». E c’era un compiaciuto senso di appartenenza nel suo modo di guardarsi attorno, con il suo fisico da marine e l’espressione da bravo ragazzo, mentre salutava i suoi pari: gli esponenti di quella classe media che per i sociologi in Russia ancora non esiste o è comunque troppo debole per avere voce in capitolo. «Invece c’è e si è svegliata», sottolineava beato. Intorno a lui una folla di persone nuove: felpe e giubbotti sobri e molto occidentali, colori abbinati con cura, un’orgia di smartphone connessi a tempo pieno con twitter, facebook e vkontaktie, il social network più amato di Russia. E soprattutto: «Quasi tutti laureati e con un buon impiego». Come scriveva desolato ieri mattina uno dei giudici chiamati a celebrare oltre 800 processi per direttissima, frutto delle retate di questi giorni.
Né Navalnjy, né gli altri arrestati, condannati a 15 giorni per non si sa quale «resistenza alla polizia», possono saperlo. Ma i loro seguaci vecchi e nuovi si preparano a tornare in strada, molto presto, già  sabato pomeriggio sulla piazza della Rivoluzione, sotto alle mura del Cremlino. Il passaparola è già  cominciato. E non solo sul web. Ma anche negli uffici pubblici dove e impiegati e fattorini si scambiano la raccomandazione: «Portati un nastro bianco» scelto come simbolo dell’indignazione. E il tam tam, continua nei corridoi delle Università , nelle salette delle caffetterie “Chokoladnidza”, o nei fast food giapponesi “Japonska”. Insomma in quei posti frequentati dai giovani figli della piccolissima, sgangherata, borghesia russa. Quella che fa ancora la spesa nei poverissimi mercati rionali, si distilla la vodka in casa, e risparmia su tutto pur di permettere ai giovani quello che a loro sembra una conquista: un look più moderno, qualche birra la sera, e soprattutto un tablet da consultare anche in metropolitana.
Sembravano giovani distaccati, apolitici, tardivi seguaci dei cosiddetti hipster, colti, raffinati, ma disinteressati alle brutture del mondo. Non leggono i giornali convenzionali che poco raccontano di quello che accade. Non ascoltano le tv di Stato che addirittura censurano le dichiarazioni dell’opposizione e continuano a titolare «Vittoria del governo Putin» ignorando lo sdegno degli osservatori internazionali e perfino le stesse vaghissime ammissioni del presidente Medvedev.
Si informano sui siti indipendenti e su quelli stranieri. Tutt’al più seguono Tele Dozhd (Telepioggia) che trasmette sul web e sul satellite e che da qualche giorno è sotto inchiesta per aver citato le denunce dei brogli di domenica.
Li ha trascinati in piazza la rabbia per l’ingiustizia, il trucco spudorato dei dati elettorali e magari anche la voglia di fare qualcosa di diverso. Non è un caso se nei blog i resoconti delle manifestazioni, delle scaramucce con gli agenti anti-sommossa, vengono descritti più con toni da caccia al tesoro piuttosto che da rivoluzione. Marta Ketro, scrittrice emergente, impegnatissima sul fronte della contestazione, prova a sollecitare questa voglia di gioco e sforna le regole per il look del perfetto manifestante: niente tacchi, scarpe da trekking, evitare colori vivaci e riconoscibili, telefonino piccolo e ben nascosto, carta d’identità  sempre a portata di mano, una merendina…
E il divertimento è tutto nel tenere in tensione il governo, nell’irridere lo schieramento imponente di camion della polizia, dei famosi Omon, i temibili soldati dei corpi speciali specialisti nello schiacciare le proteste. Lo spettacolo più divertente si è rappresentato ieri sera sulla piazza Triumfalnaja nel cuore della capitale sotto alla statua di Majakovskij e accanto all’auditorium Ciajkovskij, tempio mondiale della musica classica. Un passaparola volutamente falso sui siti più osservati dai servizi segreti annunciava una grande protesta che in realtà  non si sarebbe mai fatta. Risultato: una specie di piazza Tahrir ma senza i manifestanti. Migliaia di poliziotti schierati, una decina di carri attrezzi a bloccare il traffico e intasare le strade adiacenti, speciali automezzi con idranti dotati di sostanze urticanti, una lunga fila di nuovi Avtokaz, pullman blindati in grado di trasportare centinaia di arrestati. Tutto inutile e goffamente fuori luogo. Per la soddisfazione di centinaia di passanti sorridenti, molti con un nastrino bianco sulle maniche.
È una voglia di ribellione che nasce quasi per caso, con un processo contorto cominciato con problemi pratici che apparivano lontani dalla politica vera. È capitato, per esempio, che migliaia qualche anno fa si appassionassero alla questione degli alberi e degli animali della foresta di Khimki, alle porte di Mosca. E si sono ritrovati a occuparsi di poliziotti e giudici che bersagliavano la giovane ingegnere Evgenja Chirjkova leader degli ambientalisti. Altri si sono invece sentiti solidali con i sostenitori degli Automobilisti organizzati che chiedevano il rispetto del codice della strada da parte delle auto di Stato. Argomento banale da cronaca cittadina, diventato però gradualmente una storia di potenti arroganti e di persecuzioni giudiziarie. Stesso discorso per chi seguiva le cause senza speranza degli “architetti in difesa dei palazzi storici” o dei drogati “per un’uscita dalla tossicodipendenza. Una sorta di addestramento involontario all’indignazione contro il potere che tutto controlla.
E che ha trovato il leader naturale in Aleksej Navalny, esperto di diritto finanziario, che ha deciso di portare in rete le cause dei suoi clienti massacrati dalla corruzione e dai privilegi. Si è trasformato in un eroe delle, ancora virtuali, mani pulite russe celebrato dai giornali occidentali, amato alla follia dal popolo del web che due volte l’ha eletto sindaco di Mosca e addirittura presidente di Russia in un gioco di simulazione del voto. Una stella nascente. E il primo nella lista degli oppositori da arrestare. Se n’era reso conto pochi minuti prima che scattassero le manette mentre la folla di Cjstie Prudy si disperdeva tra agenti apparentemente sorridenti. «Guardateli – diceva ancora sorpreso – ho appena sentito tutto il loro odio verso questo sistema. In questo momento sarebbero capaci di andare a bruciale la commissione elettorale a piazza Lubjanka se solo glielo chiedessi». Poi un rigurgito di realismo: «Ma non servirebbe. Non abbiamo bisogno di violenza. Solo di uno sdegno continuo e rumoroso che si porti via questa cappa insopportabile».


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