La telefonata: andiamo a bruciare tutto il pogrom fatto in casa delle Vallette

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TORINO – Un pogrom fatto in casa, con gli ingredienti del quartiere, il retrobottega della città . La manovalanza ultrà  che vive all’ombra del Juventus Stadium, le pressioni dei pregiudicati, che entrano e escono dal carcere, trecento metri più in là . E poi l’odio per gli zingari, parafulmine di ogni rabbia, accampati a cinquecento metri, tra i ruderi della vecchia cascina della Continassa. Via delle Primule, dove abita Sandra, è il centro geometrico di questo mondo di paure, pregiudizi e codici d’onore. È il centro delle Vallette, da mezzo secolo avamposto di torri rosse e casermoni alla periferia nord di Torino.«Mi hanno cercato sabato pomeriggio. Volevano che partecipassimo anche noi. Ma io non ho fatto nessuna telefonata, quella storia non mi convinceva». Facile dirlo oggi, quanto tutti sanno che Sandra si è inventata tutto. Ma Massimo Lazzarini, uno dei leader degli ultrà  juventini, sembra sincero. È uno dei capi dei «Bravi ragazzi», i vecchi «Irriducibili», deferiti dopo un assalto alla sede bianconera per dissensi con Moggi. Parla in un bar dell’altra periferia torinese, alle spalle della direzione delle Case Popolari. È domenica mattina. Pochi testimoni. «Quella storia degli zingari non mi convinceva perché io sono uno di strada, lo so come vanno queste cose». E come vanno ? «Gli zingari non cagano dove mangiano». Per dire che non sono così stupidi da violentare una ragazza del quartiere dove abitano. «Già  l’anno scorso c’erano state manifestazioni contro di loro, organizzate dal centrodestra. Sapevano che erano a rischio». Massimo è consigliere di circoscrizione dei Comunisti Italiani: «Figurati se avrei partecipato a una roba razzista. Non si incendiano le baracche con i bambini. Nessuno di noi farebbe una cosa del genere ». E allora chi è stato?

Tutti e nessuno, come nel giallo di Agatha Christie. Perché l’altra sera tutti avevano un motivo per andare al campo degli zingari. E sapevano come affrontare la polizia. «Non escludo che qualcuno di quei palazzi, che magari era un ultras una volta, abbia deciso di partecipare», ammette Massimo. I cori da stadio e la spavalderia con gli agenti confermerebbero questa ipotesi. Lo stadio è una scuola: «Da quei palazzoni – conferma l’ultras – fino a pochi anni fa scendevano anche in cinquecento per andare in corteo con noi al Delle Alpi». Adesso, con lo stadio nuovo «sono quasi tutti abbonati, c’è la tessera del tifoso» e molti hanno abbandonato le curve. Ma non hanno perso le vecchie abitudini. «Mi raccomando – chiude Massimo – deve essere chiaro che nessuno del direttivo dei ‘Bravi ragazzi’ ha aderito al corteo. E mi sento di dire che nemmeno quelli dei ‘Drughi’ lo hanno fatto». «Drughi» e «Bravi ragazzi» se le danno volentieri le domenica in curva. Se uno garantisce per l’altro, è difficile non credergli.
Non la parte più organizzata del tifo dunque ma la manovalanza, forse l’ex manovalanza delle curve, ecco il primo ingrediente. Non l’unico. Nel pogrom fatto in casa c’è il codice d’onore di un quartiere, della strada. Lo stesso delle carceri, che stanno dall’altra parte del corso. La vendetta per «una ragazzina rovinata», come sta scritto sul volantino di convocazione del raid. Una «bambina» italiana violentata da «tre farabutti presumibilmente stranieri nell’indifferenza dei media. Perché queste violenze non fanno più notizia?». Perché il retrobottega della città  non fa notizia. Tutti parlano della vetrina, di quel che accade nello stadio dove arrivano le tv di tutto il mondo. Di quel che accade in corso Molise o in via delle Pervinche, non importa a nessuno. Neanche quando stuprano le bambine. Nasce così la parola d’ordine del pogrom: «Ripuliamo la Continassa». Il quartiere non ne può più e ha trovato qualcuno che sta peggio su cui sfogarsi: «Gli stranieri vivono di prostituzione e delinquenza», si legge sul volantino.
«Ma a gonfiare il corteo dell’altra sera ci dicono che abbia contribuito il pressante invito di qualche pregiudicato», spiega Oliviero Alotto, volontario che da anni lavora con i rom. Il diktat di qualcuno potente tra i casermoni che guardano il carcere. Qualcuno che aveva ordinato la vendetta fidando sulla rabbia del retrobottega della città . Sandra ha confessato la sua bugia troppo tardi per impedire il rogo. Alla Continassa sono rimaste una ventina di persone e un esercito di topi che scappano tra le macerie senza più una tana in cui nascondersi. Don Luigi Ciotti arriva intorno a mezzogiorno. È sconvolto: «In questa città  scopriamo, con un misto di sorpresa e di vergogna, che la miseria, la segregazione, la discriminazione e la violenza non sono di un’altra parte del mondo. Sono diventati un problema nostro».


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