L’odio e la paura del Profondo Nord

Loading

E neppure di punirli con le loro mani. Come era già  successo altre volte, in altre città , bastava punire tutti gli abitanti del campo per il solo fatto di essere zingari, di esistere e di essere lì. La violenza dei cosiddetti civili, per bene, non è resa più grave dal fatto che ciò che la ha motivata, lo stupro di una ragazza, si è poi rivelato insussistente, una sventata bugia della ragazza che probabilmente ha tentato di nascondere così un comportamento che la sua famiglia avrebbe disapprovato. Sia la bugia, con la sua individuazione degli zingari come aggressori, che la facilità  con cui è stata accolta da tutti, segnalano piuttosto quanto fragile, a rischio, sia l’essere rom, il colpevole per antonomasia di ogni nefandezza nell’immaginario collettivo. Disagi effettivi provocati dalla presenza di un campo nomadi non si distinguono più da difficoltà  che hanno altre cause. I nomadi e i loro campi divengono la causa di ogni malessere e malfunzionamento. E su di loro si possono gettare facilmente le responsabilità  anche di propri comportamenti, in un crescendo in cui si perde il senso della realtà , ma anche della decenza e del vivere civile. Ma anche se fosse stato vero che due giovani rom avevano stuprato la ragazza, nulla avrebbe giustificato l’aggressione al campo nomadi. Non solo perché in un paese civile non ci si fa giustizia da sé, ma perché un gruppo non può mai essere considerato colpevole dei comportamenti un suo singolo membro. Questa identificazione nasconde una reificazione del gruppo come altro e nemico da distruggere. È l’atteggiamento che ha reso possibili i pogrom contro gli ebrei un tempo non lontano, i linciaggi e gli incendi contro i neri nel Sud degli Stati Uniti, e la tuttora attuale emarginazione e rifiuto degli zingari in Europa. Senza sottovalutare i problemi di una difficile integrazione di alcune, anche se non tutte, popolazioni zingare (soprattutto in un’area del Paese più ricca ma impaurita com’è il profondo Nord), verrebbe da dire che sono soprattutto loro a doversi proteggere da una parte di noi, cosiddetti civilizzati e per bene.


Related Articles

Migranti. In 70 arrivano a Lampedusa, dove «gli sbarchi non sono mai finiti»

Loading

Ieri è approdato il gommone con 70 profughi, ma chi vive nell’isola parla di centinaia di persone, tantissimi minorenni, arrivati negli ultimi dieci mesi e di cui non si sa nulla

Human Rights Watch: «Un processo impari»

Loading

«L’impiccagione di Saddam Hussein ci riporta all’era medioevale della barbarie» (il manifesto, 31 dicembre 2006)

Birmania: il ponte fragile verso la democrazia

Loading

  Ponte dell’amicizia che divide Thailandia (destra) e Birmania (sinistra)

Il cinque dicembre la notizia ufficiale della cattura del Monaco birmano U Gambira è arrivata anche a Maesot, quel pezzo di terra Thailandese dove si stenta a comprende quale colore o ragione prevalga. Sul The National (giornale Thailandese in lingua inglese) le danze sono state aperte, come spesso accade in Thailandia, dalla fotografia di sua Maestà . Infatti mercoledì cinque era l’ottantacinquesimo compleanno del Re. La notizia birmana ha trovato uno spazio tutto suo a pagina sette, facendosi largo anche fra le pagine del quotidiano taiwanese Asia News Times, redatto in lingua cinese, che tratta per lo più argomenti politici, finanziari ed economici – la cattura di U Gambira infatti è collegata alla difesa di un business poco etico –.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment