Le manovre di Hamid Karzai per creare una società  civile asservita al suo governo

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Giorni fa il presidente Karzai ha deciso di non rinnovare l’incarico a tre membri della commissione, due dei quali, Fahim Hakim e Nader Nadery, stimati per l’onestà  e l’autonomia del loro operato. A sostituirli, due uomini e una donna conosciuti finora solo per l’affiliazione governativa.
La decisione arriva dopo meno di un mese dalla Conferenza internazionale sull’Afghanistan tenuta a Bonn, dove i principali attori del conflitto afghano, incluso il presidente Karzai, hanno ribadito la centralità  di una società  civile solida e autonoma per la pacificazione del paese. La decisione di Karzai contraddice le parole pronunciate a Bonn, dimostrandone la vuota retorica, mentre dalla cancellerie occidentali per ora non arrivano segnali di condanna. 
Eppure, la questione è importante: secondo Fabrizio Foschini, ricercatore presso l’Afghanistan Analysts Network di Kabul, quello di Karzai è l’ennesimo tentativo di marcare una delle più importanti istituzioni della società  civile, i cui membri negli ultimi anni hanno dimostrato di saper tenere la schiena dritta. L’obiettivo, «creare una società  civile “di governo”», attraverso il metodo in cui Karzai è maestro riconosciuto: «Manovrare attraverso i suoi poteri di nomina, accontentare questo o quell’alleato, piazzare un fido al posto giusto», dispensare posti e favori per puntellare il consenso a una presidenza sempre più zoppicante. 
Ma «una società  civile governativa» è una contraddizione in termini troppo evidente, e le critiche sono piovute da molte parti. In primo luogo, dalla stessa Commissione indipendente per i diritti umani, il cui direttore esecutivo, Mohammed Musa Mahmoudi, ha dichiarato che il governo avrebbe dovuto passare per un processo consultivo con accademici e organizzazioni della società  civile, e che la decisione presa mina la credibilità  della sua istituzione: «Se ci sono tentativi di controllare la commissione, ciò confermerebbe la tesi dell’Economist secondo cui il governo afghano è uno dei regimi autoritari nel mondo. Tutto questo indebolirebbe la nostra democrazia». 
Gli ha risposto il portavoce di Karzai, Emal Faizi, ricordando che il mandato dei membri della commissione era in scadenza, e rientra nelle prerogative del governo la loro conferma o sostituzione. Email Faizi ha poi respinto l’accusa da molti viociferata, che la decisione sia stata presa «a causa di un rapporto che accusa di violazioni dei diritti umani alti esponenti» governativi. Il riferimento è a un rapporto curato da uno dei tre commissari «silurati», Nader Nadery, che ha coordinato un’importante ricerca sulle violazioni dei diritti umani compiute negli scorsi tre decenni in Afghanistan. 
Il rapporto, che pare sia stato appena terminato e dovrebbe presto essere reso pubblico, non piace a molti perché ricorda ciò che tutti i cittadini afghani sanno, e la comunità  internazionale continua a fingere di non sapere: al governo in Afghanistan ci sono uomini con le mani sporche di sangue, colpevoli di abusi e delitti. Tra questi lo stesso vice-presidente, il maresciallo Mohammed Fahim, già  ministro della Difesa e «signore della guerra». 
A lui ha fatto riferimento, anche se in modo implicito, la deputata Fawzia Kufi, a capo della Commissione per le questioni femminili del Parlamento, quando ha detto che «alcuni circoli nel palazzo presidenziale hanno proposto una lista di nuovi commissari al presidente, il quale li ha approvati senza la giusta attenzione». Insomma, sarebbe proprio il vicepresidente Fahim il principale ispiratore della decisione di Karzai: forse timoroso di vedersi imputare i crimini di guerra compiuti in passato, ha pensato di addomesticare la Commisione dei diritti umani. Lasciando ancora una volta irrisolto il vero nodo della transizione afghana: il rapporto tra pace futura e giustizia per il passato.


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