Monti in calo di quotazioni

by Editore | 17 Dicembre 2011 9:19

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I sì che il governo Monti perde per strada rispetto alla prima fiducia sono 61. Oltre alla Lega, questa volta dicono no anche l’Idv e la Svp, si esprimono con il voto contrario i deputati del Pdl Giorgio Stracquadanio e Alessandra Mussolini, e nel partito dell’ex presidente del consiglio si registrano parecchie altre defezioni, anche vistose e «autorizzate» da Silvio Berlusconi, dice lo stesso Cavaliere: si astengono in 4, e non si presentano in 26, compresi gli ex ministri Paolo Romani e Michela Brambilla, il sottosegretario Guido Crosetto, Lunardi, Martino, Saglia e Viviana Beccalossi. E se dal Pd arriva un sì corale, è solo per la strigliata del segretario Bersani, che l’altro giorno aveva rimesso in riga anche i deputati che avrebbero voluto palesare la loro insofferenza in aula.
La fiducia ovviamente passa, con 495 sì (alla prima erano stati 556). E passa il «decreto salva-Italia» (ora andrà  al senato) che scontenta quasi tutti. Ma qui i voti precipitano a quota 402: 75 no, 22 astenuti di cui 12 del Pdl, 499 presenti, assenti 66 pidiellini.
Il premier non si scompone: «Soddisfatto? Certo». Ma nell’aula della camera non è certo clima da luna di miele tra i partiti e il governo dei «tecnici», elogiato invece dal Quirinale. E più delle assenze e dei no, scenografici o meno (per la Lega interviene Emanuela Munerato in tuta da operaia), sono gli ordini del giorno a dare la misura della disperazione che anima la maggioranza coatta. I documenti con cui si «impegna il governo a…» sono più di 150 e diventano occasione per una sorta di rito liberatorio dove sfogare l’insofferenza. Gli ordini del giorno di Idv e Lega che impegnano a annullare il beauty contest sulle frequenze per il digitale terrestre in favore di un’asta «a titolo oneroso» passano perché il governo li accoglie. Ma passa anche, e quasi all’unanimità , un odg della Lega con il parere contrario del governo. Chiede una detrazione del 50% sull’Imu per le famiglie di «disabili gravi non autosufficienti». E’ la prima sconfitta del governo Monti nell’aula di Montecitorio.
Nel lungo dibattito, bersaglio del malcontento diventa il sottosegretario ai rapporti col parlamento, Piero Giarda, oggetto di contestazioni da parte dei gruppi per il suo sistema frettoloso di illustrare gli ordini del giorno. Con lui, nella discussione, si sfoga anche il presidente della camera, che per due volte lo bacchetta: «Dottor Giarda, sia più rispettoso», lo rimbrotta Gianfranco Fini quando il sottosegretario parla di «odg Mecacci & company». E ancora: «Sia più sollecito, se apro la votazione non posso più darle la parola», quando Giarda prova a intervenire fuori tempo massimo. Più tardi una stretta di mano tra i due chiuderà  la questione. Ma insomma, va in scena la rappresentazione plastica dei rapporti non proprio idilliaci tra governo e parlamento (Udc a parte). Tanto che alle otto di sera, nella sua informativa sulla crisi che precede il voto finale sulla manovra, Mario Monti deve precisare che quel «noi» e «voi» da lui spesso usato e che il capogruppo del Pd Franceschini gli aveva chiesto di evitare, è «solo una questione tecnica», ma «siamo tutti accomunati dalla stessa intrapresa». Stia sereno anche Cicchitto, che aveva rimproverato il presidente del consiglio per il suo «atteggiamento altezzoso».
Ma il professore non scende dalla cattedra. Chiede a tutti «senso di responsabilità », perché a rischio sono «i risparmi degli italiani» – dice – «il benessere, così come la tutela della previdenza e la salute pubblica». E «non tutto dipende da noi», perché l’Europa «è carente per quanto riguarda la politica comunitaria di crescita e sviluppo». 
Il finale dell’intervento di Monti è per Berlusconi, che cerca di rimettersi in sintonia con l’elettorato e vuole lasciar intendere di avere lui la golden share del governo, dunque l’altroieri aveva descritto un Monti «disperato» che non arriverà  al 2013: «Non mi sento affatto disperato – ribatte il premier – Non c’è motivo di disperazione per quanto riguarda le nostre istituzioni e il nostro paese» (ma appunto, il problema non è solo «il nostro paese»). L’ex inquilino di palazzo Chigi ai banchi del Pdl scambia una risata con Alfano. Il duello a distanza si chiuderà  con un bigliettino del professore al Cavaliere. Lacrime e sangue sì, ma con bon ton…

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