Occupy Language (e pure i classici)

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Alim parte da una constatazione molto semplice: nel giro di pochi mesi il verbo «occupare» – ma forse è più opportuno e chiaro usare l’inglese occupy – ha cambiato segno e senso. «Ancora all’inizio di settembre occupy denotava l’effetto di incursioni militari. Oggi sta a significare una protesta politica progressista. La sfera cui si riferisce non è più quella del potere militare, ma di una reazione all’ingiustizia, all’ineguaglianza e all’abuso di potere. Non si tratta più di “occupare” uno spazio, ma di trasformare quello spazio». Dunque, in un certo senso, prosegue Alim, attingendo alla propria esperienza di antropologo e linguista, Occupy Wall Street ha occupato il linguaggio. Ma, aggiunge lo studioso, cosa accadrebbe se cominciassimo a pensare a «Occupy Language» non più solo come alla lingua del movimento Occupy bensì come a un movimento a sé? E, posta la domanda, offre anche alcune possibili risposte: per esempio, scrive, «Occupy Language» potrebbe sostenere le campagne contro l’uso di termini peggiorativi e discriminatori da parte dei media in riferimento agli immigrati sans papiers. In modo più generale, però, «Occupy Language» potrebbe tradursi – secondo Alim – in «un movimento linguistico critico e progressista capace di mettere in luce quanto il linguaggio venga utilizzato come strumento di controllo sociale, politico e economico»
Anche la classicista Mary Beard in un intervento sulla «New York Times Review of Books» prende le mosse da una domanda: lo studio della cultura greca e latina ha un futuro? Domanda, si affretta ad aggiungere la studiosa, docente all’università  di Cambridge, tutt’altro che originale di questi tempi, se addirittura una petizione internazionale è stata rivolta lo scorso novembre all’Unesco perché latino e greco antico vengano dichiarati «patrimonio intangibile dell’umanità », da conservare e proteggere. (Commento della Beard: «Non so bene se trattare le lingue classiche come una specie in via di estinzione sia una buona idea, ma sono certa che sia una scelta azzardata affidare la loro tutela – come propone il documento – al governo italiano, dal momento che Mario Monti ha già  troppe cose a cui pensare»). Il fatto è che in realtà , secondo la studiosa, questa domanda originale non lo è da secoli, dato che «le lettere classiche sono in declino per definizione»: «Anche in quello che oggi chiamiamo Rinascimento – osserva – gli umanisti stavano in realtà  combattendo una battaglia disperata per salvare i classici dall’oblio». Il punto, in definitiva, afferma Mary Beard, non è contare quante persone nel mondo oggi studiano latino e greco, ma quante persone ritengono che lo studio del latino e del greco sia una competenza importante, da prendere sul serio, e per la quale è dunque giusto spendere risorse economiche.


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