Record della distanza tra salari e prezzi mai così lontani da quindici anni

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«I salari sono bassi», ammetteva il ministro Fornero un paio di giorni fa. Molto bassi, certifica ora l’Istat, anche perché il loro potere d’acquisto viene eroso dall’inflazione a un livello record. Il divario tra crescita di salari e prezzi – fotografato dall’Istituto di statistica con riferimento al mese di novembre – non è mai stato così ampio dal 1997. Quindici anni in cui la corsa dei cartellini di cibo, affitti, benzina, vestiario ha più che doppiato quella delle buste paga. Non meraviglia affatto, in un contesto economico generale definito recessivo dalla stessa Istat, che il clima di fiducia dei consumatori – personale, sul presente, sul futuro, sul Paese – subisca un crollo. In cima alle ansie degli italiani per il 2012, la sicurezza del posto di lavoro, la capacità  di risparmiare e acquistare beni durevoli.
La sempre più ampia forbice tra retribuzioni e livello dell’inflazione induce, in effetti, qualche preoccupazione in più. Con le prime che avanzano su base annua dell’1,5 per cento (tra novembre 2011 e stesso mese del 2010), mentre i prezzi del 3,3 per cento. In questo divario, il più alto da tre lustri, ben 1,8 punti percentuali, c’è chi sta peggio, chi meglio. Tutti i comparti della pubblica amministrazione, ad eccezione dei vigili del fuoco (+3,1%), registrano variazioni nulle in busta paga. Zero. Al top degli aumenti nel privato, il settore gomma e plastica (+3,1%) che sfiora un pari con l’inflazione. A seguire tessile, chimica, telecomunicazioni (+2,7%). Sotto la media, agricoltura e informazione (+1,4%), credito e assicurazioni (+0,6%). Rispetto ad ottobre, poi, i salari sono ovunque fermi. E rispetto ad un anno fa, l’incremento dell’1,5 per cento è comunque il più basso dall’ottobre del 2010, quando si registrò lo stesso dato (il minimo da marzo 1999). 
Insomma, il salario netto degli italiani è sempre più scarno e vessato dalle tasse, come certifica anche l’Ocse che colloca il nostro Paese al ventiduesimo posto per le retribuzioni (4 mila euro sotto la media Ue), ma al quinto su 34 come pressione fiscale (46,9% della retribuzione media). Secondo Federconsumatori, l’erosione di potere d’acquisto costa 324 euro l’anno a chi guadagna 1.500 euro al mese, 432 euro se la busta paga è di 2 mila. «Un mese di spesa alimentare di una famiglia. Una situazione allarmante», per l’associazione dei consumatori. Allarme registrato sempre dall’Istat e dal suo Indice sul clima di fiducia, sceso a dicembre da 96 a 92. Il dato peggiore dal 1996, quando iniziarono le rilevazioni, soprattutto nel Nord Ovest e al Sud.
Italiani sfiduciati anche per le pessime previsioni sul 2012. Anno di recessione in cui, come stima Unioncamere, l’inflazione continuerà  a mordere (+2,4%) e soprattutto sarà  ancora sopra i salari. La prima manovra Monti, sommata alle due estive di Tremonti, giocheranno un ruolo determinante nella fiammata dei prezzi, con i rincari di benzina, Iva, Ici (anche sulla prima casa), bollo titoli, addizionali regionali Irpef, tariffe pubbliche (per il taglio dei trasferimenti). Il caro spesa – che già  oggi penalizza persino l’espresso, visto che zucchero e caffè segnalano incrementi sopra il 16 per cento – non potrà  che peggiorare il bilancio delle famiglie, con un potere d’acquisto tornato ai livelli del 2001. Alimentari e non cresceranno del 2 per cento il prossimo anno, gli energetici del 4,4, i servizi di quasi il 3, le tariffe del 2,2, gli affitti dell’1,6 per cento. Si tirerà  ancora la cinghia. Meno carne e formaggio. Meno regali sotto l’albero, per un Natale più austero del solito. In attesa che riparta il lavoro. E il Paese.


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