Se i numeri spiegano il mondo

by Editore | 21 Dicembre 2011 7:15

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Questi numeri, a saperli leggere, sono indicazioni cristalline. Si scopre, per esempio, che l’Italia è il terzo paese con l’età  media più alta, dopo Giappone e Germania. Che nessuna città  italiana è tra le diciotto più vivibili per «sanità , istruzione, cultura, infrastrutture, stabilità ». Che tra il ’99 e il 2009 la nostra è stata la crescita economica più debole del mondo, dopo Zimbabwe, Eritrea e Costa d’Avorio. Che la nostra penisola non compare né nella classifica 2010 della “creatività  economica” (misura il grado di interazione tra imprese e ricerca scientifica) né in quella 2010 della “capacità  tecnologica” (l’abilità  dell’economia di adottare nuove tecnologie). Infine ci sono l’industria manifatturiera e la produzione industriale, dati 2009, che ci vedono quinti, dopo Stati Uniti, Cina, Giappone e Germania. 
In un mondo così interdipendente, tuttavia, sarebbe pessimo guardare solo all’Italia, oltretutto ratificando nozioni purtroppo note, e sulle quali bisognerebbe ormai soltanto agire, e non più speculare: in realtà  ogni colonnina riserva sorprese e bizzarrie, indovinelli e rebus geopolitici: che relazione c’è tra il fatto che nel 2010 la Nuova Zelanda è al numero uno per brevità  di tempi di registrazione di una nuova società  e nel contempo il paese con la più bassa corruzione percepita al mondo? Come reagire al 56,3% di parlamentari donne in Ruanda, capolista della relativa categoria, più avanti di Svezia e Islanda? E perché in Belgio e in Spagna, nel 2008, sono stati segnalati moltissimi furti in casa, staccando nettamente tutti gli altri paesi? Il mondo, in cifre, suggerisce che non si può fare a meno di crescere, che non si può fare a meno di produrre conoscenza pubblica, e non si può fare a meno di produrre manufatti. Il mondo in cifre, chiede di stare ai primi posti delle classifiche. Ma poi, visto che al mondo bisogna pure provare a essere contenti, la guida si conclude con l’indice di “felicità “, che misura la qualità  e la speranza di vita insieme all’impronta ecologica individuale, ovvero quanto ognuno di noi inquina. E lì, basta controllare, le posizioni s’invertono: le sorprese aumentano.

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