Sul confine con i ribelli siriani «Le campagne già  in mano nostra»

Loading

YAYLADAGI (Frontiera turco-siriana)— Sono i giganteschi teli in plastica blu scuro che aiutano a individuare la tendopoli dei profughi siriani alla periferia occidentale del villaggio turrito di affusolati minareti ottomani. Macchie colorate, che sbocciano dal grigiore delle nebbie invernali fradice di pioggia e risaltano festose sul sottofondo delle colline coperte a pinete. Potrebbero sembrare tanti messaggi di benvenuto dal governo di Ankara ai poveracci che fuggono la violenza della repressione militare voluta da Damasco. Ma la realtà  è meno rosea. «Li hanno imposti i militari turchi per evitare che giornalisti e fotografi stranieri o locali riprendano la vita nel campo. La verità  è che noi qui siamo ben accolti se riusciamo a dimostrare di essere profughi politici. Però assolutamente dobbiamo mantenere il basso profilo. Nessun reporter può entrare nel campo senza il beneplacito delle autorità  turche», sostiene il 36enne incontrato alle porte della tendopoli, proprio dove inizia una delle palizzate che sostengono i teli, sino ad agosto residente a Latakia, ma poi sfollato, «perché altrimenti sarei stato impiccato dai sicari di Bashar Assad». Pochi giorni fa due fuggiaschi, che sembra arrivassero braccati dalla città -martire di Homs, hanno creato gravi tensioni quando, forse impauriti dai doganieri turchi, hanno dichiarato di «voler cercare lavoro» e sono stati bloccati provocando cortei e proteste. La sua storia è molto simile a quelle dei circa 2.000 abitanti del campo. «Ho partecipato alle manifestazioni contro la dittatura sin dal loro inizio in marzo. Ma a metà  agosto le truppe governative sono diventate più aggressive. Assad ha armato e aizzato i fedelissimi tra la minoranza Alawita. A Latakia sono circa 200.000 su 800.000 abitanti. I loro informatori si sono infiltrati dovunque. Ho deciso di fuggire quando il mio quartiere è stato bombardato dalla marina militare e dai carri armati. Da allora attendo l’aiuto della comunità  internazionale che ci permetta di tornare alle nostre case. Qui l’esistenza è sicura, però noiosissima. Ci garantiscono tutto: dalle tende calde al cibo. Ma non riesco a trovare lavoro», spiega ancora stando ben attento a tenere segreta la sua identità . «I miei parenti rimasti in Siria sarebbero immediatamente arrestati e forse uccisi», aggiunge. Sono sei i campi profughi costruiti negli ultimi mesi dalla Turchia lungo il confine con la Siria. In tutto tra le 7.000 e 10.000 persone (impossibile dire invece quanti si sono dispersi nel Paese una volta passata la frontiera). Un settimo, a Karbayaz, lungo la fascia di colline che si allungano verso Aleppo, ospita poche centinaia di disertori che ora costituiscono i quadri dirigenti del Nuovo Esercito Siriano Libero, fondato in luglio dal colonnello Riad al-Asaad. In questo periodo con lui è difficile parlare, occorre tra l’altro il beneplacito del ministero degli Esteri di Ankara. Ma abbiamo contattato il suo stato maggiore nel campo guidato dal colonnello Abdel Sattar Taissim Yunso. «Ci sono ormai decine e decine di migliaia di soldati dell’esercito regolare siriano pronti a passare dalla nostra parte. Ma attendiamo. Ci mancano le armi pesanti contro l’aviazione, le navi da guerra e i carri armati ancora a disposizione della dittatura. Risultato è che la nostra guerriglia controlla ormai larga parte delle campagne. Ma le città  maggiori — a partire da Damasco, Aleppo e Latakia — restano nelle mani del governo. Si combatte invece nei centri di Hama, Homs, Idleb e sulle principali vie di comunicazione», sostengono. Le vostre prossime mosse? «Elaborare una strategia comune con i dirigenti politici del Consiglio Nazionale Siriano, che raccoglie le voci più note dell’opposizione. Siamo appena usciti con un documento-appello congiunto alla comunità  internazionale per la creazione di no fly zone su tutto il Paese e una regione cuscinetto a ridosso del confine turco. Questo ci garantirebbe lo spazio necessario per organizzarci. C’è dibattito per un eventuale intervento Nato come in Libia. Ma sembra proprio che la maggioranza di noi non lo voglia, tenuto conto tra l’altro che la stessa Nato è assolutamente restia. Se ci vengono dati gli strumenti minimi, saremo in grado di liberarci da soli». Visti però dai vicoli sconnessi di Yayladagi i progetti della rivoluzione appaiono perlomeno ottimisti. Qui la popolazione turca sembra sostenere in massa il regime di Assad. «Vogliono la democrazia e sarà  il caos come in Iraq e Libia», dicono in tanti, che non apprezzano affatto l’apertura nei confronti del movimento di protesta siriano fortemente voluta in marzo dallo stesso premier Recep Tayyip Erdogan. A conferma di questa politica, la Turchia dovrebbe sospendere a breve l’accordo di libero commercio con la Siria dopo che Damasco ha fatto lo stesso in risposta alle minacce di Ankara. E nelle ultime settimane l’esercito siriano è tornato in forza nelle zone confinarie, dove quest’estate era molto facile transitare. Le truppe scelte di Assad stanno contrattaccando a suon di assassinii mirati, rapimenti, torture e varie forme di punizioni collettive un po’ dovunque. Tra le cancellerie occidentali cresce il timore di un imminente attacco dei lealisti contro Homs nello stile di quelli condotti contro Hama di recente. Elettricità , acqua benzina e connessioni telefoniche vedono privilegiare le zone lealiste. La guerriglia replica come può. Giovedì è stato fatto saltare l’importantissimo oleodotto che porta greggio alla raffineria di Homs. E a iniziare da oggi è indetto uno «sciopero nazionale della dignità »: la disobbedienza civile generalizzata contro la repressione. I morti tra i manifestanti da marzo secondo l’Onu sfiorano ormai quota 4.500, ma qui nel campo sostengono che potrebbero essere oltre 10.000. Tanti chiedono informazioni su parenti e amici arrestati di cui non hanno più notizie da lungo tempo. A nove mesi dal suo inizio, la primavera siriana è ormai drammaticamente sprofondata nella morsa dell’inverno. Lorenzo Cremonesi


Related Articles

L’asse Mosca-Pechino alla «prova greca»

Loading

Diplomazia. Incontro tra Xi Jinping e Putin al meeting dei Brics in Russia

Domenica 6 ottobre, i Fratelli musulmani tornano in piazza

Loading

Egitto / VIOLENTI SCONTRI IERI AL CAIRO E AD ALESSANDRIA

Il digiuno contro i corrotti del guru della tv indiana

Loading

L’eccentrico Baba Ramdev è noto per le sue campagne di “Mani pulite” Ma anche perché il suo programma sullo yoga ha un’audience da record. Si è presentato ai giornalisti con uno scialle rosso sul petto: “Vado avanti malgrado l’appello a desistere del premier Singh”. “Con me altre 10 milioni di persone Vogliamo che il governo elimini le ingiustizie nelle istituzioni pubbliche”

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment