Sulle barricate in tonaca: «Gesù contro Wall Street»

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NEW YORK — «Il Gesù dei poveri e bisognosi che io amo oggi sarebbe tra i dimostranti di Occupy Wall Street. O in prigione». Al telefono da Rye, la cittadina 35 chilometri a Nord-Est da Manhattan dove vive con la moglie mezzosoprano Brook, la voce del Reverendo George E. Packard, veterano del Vietnam e vescovo episcopale in pensione, giunge tenue e affaticata.
Da giorni Packard lavorava per trovare un compromesso tra la chiesa episcopale Trinity Church, a Wall Street, e i leader del movimento Occupy Wall Street (OWS) che chiedevano di usare un lotto di proprietà  della chiesa come nuova base operativa nell’era post-Zuccotti Park. Ma, oltre a negare il permesso, i responsabili di Trinity hanno chiamato la polizia che ha arrestato 55 persone guidate da Packard (una decina delle quali, esponenti del clero) che hanno superato la recinzione e «occupato» il lotto proibito.
«Ci hanno rilasciati a mezzanotte, dopo nove ore in cella», racconta al Corriere il prelato. «Il New York Police Department ha due anime. Una pro-OWS, come quella del poliziotto che nell’ammanettarmi si è scusato perché, pur condividendo il mio gesto, è stato costretto ad arrestarmi. La seconda, gratuitamente violenta, che spinge giovani poliziotti arrabbiati ad infierire contro coetanei, rei di protestare pacificamente, come ci ha insegnato Martin Luther King».
Fino a qualche tempo fa, Packard era noto come il cappellano dell’esercito Usa sempre pronto a recarsi nelle zone «bollenti» del pianeta, dalla Bosnia all’Iraq, per portare conforto ai militari traumatizzati dalla guerra. «Ho combattuto in Vietnam come ufficiale della First Infantry Division — spiega Packard —. Tornai a casa nel 1970 con una Silver Star e due medaglie di bronzo sul petto, ma anche con un disturbo post-traumatico da stress che mi condannò a decenni di psicoterapia e potenti farmaci antidepressivi».
Dopo 12 mesi di ritiro spirituale, nel 1971 entrò al Virginia Theological Seminary dove si diplomò nel 1974, deciso a dedicare la vita agli altri. Il suo impegno nel movimento inizia a fine settembre. «Una notte sono stato arrestato mentre cercavo di portare acqua ai dimostranti: gente meravigliosa, mi creda, appassionata e idealista ma anche focalizzata e concreta. Si rende conto? Maltrattato e ammanettato perché davo da bere agli assetati, come ordina il Vangelo». 
La frustrazione di Packard, nato nel 1944 a New Rochelle da una ricca famiglia di origine inglese, è palpabile. «La miopia delle autorità  ecclesiastiche è incredibile. La chiesa protestante sta morendo e il numero dei suoi fedeli è al minimo storico. Aprire le braccia a questi giovani che chiedono aiuto sarebbe opportuno, oltreché giusto». 
«Trinity Church è l’istituzione religiosa più ricca d’America, con beni di oltre dieci milioni di dollari — insiste — la maggior parte degli immobili a sud di Canal Street, a Manhattan, sono suoi». Packard è la prova vivente di come, all’indomani degli sfratti, il movimento è vivo e vegeto. «Abbiamo ricevuto il sostegno dall’arcivescovo Desmond Tutu e — attraverso Occupy Faith — preti, rabbini, pastori protestanti e imam stanno aiutando questi coraggiosi giovani, decisi a porre fine alla profonda ingiustizia di società  che difendono i ricchi e fanno la guerra contro i loro poveri».
Al telefono la sua voce adesso suona allegra e ottimista: «Ho appena finito di leggere The Swerve: How the World Became Modern di Stephen Greenblatt, su come, durante il Medio Evo, l’unica isola di civiltà , riflessione e dissenso furono i ricchi monasteri Benedettini. Se siamo qui a protestare oggi è anche grazie a loro. Ma questo i burocrati di Trinity Church non lo capiscono».


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