Vita e scatti di un toreador del caso

Loading

Leggerezza, lucidità  e ironia sono gli elementi che Ferdinando Scianna dosa con sapienza nel raccontare la propria esperienza umana e professionale in Autoritratto di un fotografo (Bruno Mondadori, pp. 208, euro 19), volume irrinunciabile per entrare nell’universo culturale di uno dei fotografi italiani più coerenti e significativi della seconda metà  del Novecento. 
L’esordio è precoce: a quindici anni riceve la prima macchina fotografica, a diciassette fotografare è già  un’ossessione. Attraverso l’obiettivo Scianna (Bagheria 1943) vuole ritrarre la Sicilia dell’inizio degli anni Sessanta, il mondo contadino con i suoi rituali, le sue contraddizioni, la sua povertà . Un mondo in via di sparizione, dal quale il fotografo – come molti altri intellettuali – decide di allontanarsi, nella consapevolezza che «la propria Itaca uno se la porta dietro, la cerca e la vede dentro se stesso e ovunque». 
Cruciale è l’incontro nel 1963 con Leonardo Sciascia, un autentico «colpo di fulmine» da cui nasce un legame profondo, che avrà  grande influenza sul pensiero e sul modo di concepire la fotografia di Scianna. Dalla collaborazione con lo scrittore prende vita il celebre Feste religiose in Sicilia (1965), libro che per la sua interpretazione «materialista» della religiosità  siciliana provoca forti polemiche negli ambienti cattolici, ricevendo tra l’altro una violenta stroncatura sulle pagine dell’«Osservatore Romano». Il rapporto con la letteratura assume nel suo lavoro un peso sempre più rilevante, è un «rapporto frustrato, delirante, ma fondamentale». Sono molti gli scrittori con cui intrattiene legami di amicizia – oltre a Sciascia, Milan Kundera, Và¡zquez Montalbà¡n, Gesualdo Bufalino, Vincenzo Consolo.
Trasferitosi a Milano nel 1967 viene assunto all’«Europeo», una «specie di università  del giornalismo italiano», dove ha modo di imparare il mestiere di fotoreporter entrando in contatto con alcuni tra i migliori giornalisti dell’epoca. Come inviato dell’«Europeo» si reca insieme ad alcuni colleghi in Cecoslovacchia a documentare l’invasione sovietica e poiché sul passaporto non risulta ancora giornalista ma studente, è l’unico a poter varcare il confine. L’intero servizio, fotografie e testo, esce così a firma Scianna, sancendo il passaggio dall’attività  di fotoreporter a quella di giornalista (anche se per ottenere l’iscrizione come praticante all’albo dovrà  aspettare altri due anni). Nel 1974 viene mandato come corrispondente a Parigi, dove rimarrà  per un decennio, stringendo un intenso legame intellettuale con Henri Cartier-Bresson – rapporto che, al pari di quello con Sciascia, si rivela fondamentale per la ricerca fotografica di Scianna, in cui piano etico ed estetico risultano inscindibili, in una concezione che vede il medium fotografico come potente e radicale strumento di testimonianza della realtà . La fotografia, secondo il pensiero controcorrente di Scianna, non ha affatto bisogno di essere ricondotta alla sfera dell’arte per ottenere nobilitazione e prestigio sociale: «La fotografia non è arte: peggio per l’arte». O meglio: «L’arte è fotografia: peggio per la fotografia», scrive Scianna ribaltando la sua formula precedente, a causa del progressivo dilagare in questi ultimi decenni della fotografia in campo artistico.
Negli anni Ottanta su proposta di Cartier-Bresson è il primo italiano ad essere ammesso alla prestigiosa agenzia Magnum. Alla seconda metà  del decennio risale il primo contatto con il mondo della moda. Domenico Dolce e Stefano Gabbana, allora giovanissimi e sconosciuti al grande pubblico, lo chiamano per un servizio in Sicilia.
È con grande sorpresa che Scianna, superate le diffidenze iniziali, scopre di appassionarsi alla fotografia di moda nonostante l’inquietudine dovuta alla trasgressione dei precetti bressoniani, che implicano la messa al bando di ogni finzione e posa fotografica. Tuttavia è proprio nell’ambiguità  tra realtà  e messa in scena che Scianna riconosce la grande fortuna di queste immagini. Il fotografo, che per sua definizione ama «toreare con il caso», inserisce la bellissima modella Marpessa come un elemento perturbante all’interno della quotidianità  siciliana, al fine di fare interagire mondi estranei e documentare reazioni e risultati imprevisti. 
Con queste immagini Scianna intraprende un viaggio nella memoria, nei ricordi dell’infanzia siciliana, impressi nella coscienza in modo indelebile e sempre sul punto di affiorare. Come in un cerchio il libro si apre e si chiude con uno sguardo sulla Sicilia, luogo amato e odiato, che suscita insieme rancore e ammirazione. Da qui l’esigenza del libro Quelli di Bagheria (2002), «una sorta di romanzo della memoria», in cui Scianna recupera le foto dell’adolescenza, quelle scattate prima della vocazione fotografica. Foto a lungo rimosse, sepolte in una cassetta di legno per oltre sessant’anni, che prendono vita in un libro, nato forse per affrontare i rancori verso la propria terra, rivelatosi invece «un modo per dire addio».


Related Articles

Marisa Merz Quando l’Arte Povera diventa materna

Loading

A Torino le grandi reti, i dipinti, i piccoli oggetti in perenne evoluzione come creature viventi

Recuperare e conservare La sfida degli architetti

Loading

Un libro di Cesare Feiffer che raccoglie i suoi interventi sul tema   

Il ruolo di Alan Turing nella vittoria su Hitler

Loading

Da oggi a Venezia il convegno «Matematica e cultura» Le ricerche del grande matematico inglese, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita, furono determinanti per decifrare il sistema di criptazione dei messaggi tedeschi

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment