Acqua, una partita europea

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Nel testo approvato dal Consiglio dei ministri del decreto sulle liberalizzazioni è scomparso il comma che avrebbe reso impossibile il ricorso alle Aziende speciali per gestire il servizio idrico e gli altri servizi di interesse economico generale, violando in modo palese l’esito referendario del giugno scorso. E’ un risultato importante, frutto, in primo luogo, della grande mobilitazione promossa dal movimento per l’acqua che ha portato la settimana scorsa a svolgere tantissime manifestazioni in tutto il Paese, presidiando le Prefetture, il Parlamento e il ministero dell’Economia, svolgendo discussioni e assemblee pubbliche in moltissimi territori. Così come è stata molto utile la vera e propria campagna politica e informativa svolta dal manifesto, unico organo di stampa ad occuparsi della vicenda, nel silenzio colpevole di tutti i grandi mass-media.
Il fatto di essere riusciti a bloccare il tentativo del governo Monti di dare un colpo mortale al risultato referendario va giustamente colto nel suo grande valore, in tempi di decisionismo dei professori, ma ciò non può farci sottovalutare il fatto che continuerà  l’offensiva per privatizzare i beni comuni e i servizi pubblici ad essi collegati, compreso il servizio idrico. Occorrerà  mantenere alta la guardia, già  a partire dalla discussione in Parlamento, che potrebbe celare altre insidie. Ancor più è bene avere presente le linee lungo le quali quest’offensiva si muoverà . La prima è già  indicata nello stesso decreto sulle liberalizzazioni, non solo nel momento in cui viene riproposta, aggravandola, la privatizzazione obbligata del trasporto pubblico locale e del servizio di igiene ambientale, ma, ancor più, quando si prevede che, anche per il servizio idrico, con decreti da emanare entro giugno, le Spa a totale capitale pubblico e le Aziende speciali dovranno sottoporsi al Patto di stabilità  degli Enti locali. Si tratta di una scelta molto pericolosa, che segue nei fatti il famoso suggerimento reaganiano di “affamare la bestia”: siccome rimane molto difficile attaccare direttamente l’esito referendario, lo si aggira, si costruisce una condizione perché non ci siano più risorse per effettuare gli investimenti per le Aziende speciali e per le Spa a totale capitale pubblico, favorendo per questa via la loro privatizzazione. E dunque occorre mettere in campo un’iniziativa in grado di contrastare tale approccio e delineare una risposta alternativa, sia rilanciando il processo di ripubblicizzazione del servizio idrico, estendendo l’esperienza iniziata a Napoli, a partire da grandi città  come Torino, Milano, Venezia e altre ancora, sia affermando che gli investimenti per i servizi pubblici fondamentali devono stare fuori dal Patto di stabilità  interno e che la Cassa Depositi e Prestiti deve tornare a svolgere un ruolo attivo di finanza pubblica, sottraendola al percorso che l’ha vista impegnata nei fatti – e nelle intenzioni del governo ciò dovrebbe ulteriormente rafforzarsi – a sostenere i processi di privatizzazione. Già  dalle prossime settimane il nostro impegno si svolgerà  in tale direzione – oltre a dare ancora più forza alla campagna di “obbedienza civile” già  in corso – ma sarà  bene che questi riferimenti siano fatti propri dagli Enti locali, se non si vuole continuare lungo una deriva che li svuota sempre più del loro ruolo di rispondere ai diritti di cittadinanza: da questo punto di vista, lo stesso appuntamento di Napoli dei prossimi giorni della costituzione del Forum dei Comuni per i beni comuni potrebbe segnare una tappa importante, per difendere l’esito referendario e renderlo attuabile, impegnandosi nel percorso di ripubblicizzazione del servizio idrico e nella progettazione di una nuova finanza pubblica.
La seconda linea di attacco, un po’ più sottotraccia, ma non meno pericolosa, passa attraverso l’Europa. Non ci vuole la sfera di cristallo per capire che, nei colloqui che il Presidente del Consiglio ha avuto con gli altri leaders europei, Monti ha chiesto che sia l’Europa stessa a dargli la possibilità  di mettere da parte l’esito referendario, aprendo una nuova fase di grandi liberalizzazioni in Europa, provando a considerare anche il servizio idrico come servizio da mettere sul mercato. Una sorta di Bolkestein 2, ancora peggiore di quella avanzata a suo tempo e che fu fortemente contrastata da un ampio arco di forze sociali e politiche, anche con qualche risultato significativo. Da questo punto di vista, il percorso che abbiamo delineato per arrivare a costruire una vera a propria Rete europea per l’acqua bene comune, lanciata a Napoli nel dicembre scorso e che verrà  sancita nel prossimo marzo a Marsiglia, in concomitanza con il Forum Alternativo Mondiale dell’Acqua che si svolgerà  lì in contrapposizione al Forum dell’acqua promosso dalle grandi multinazionali, risulta essere un altro passaggio fondamentale per contrastare tali intenzioni e per affermare che l’acqua e i beni comuni vanno sottratti al mercato e gestiti in uno spazio pubblico e partecipato, lavorando anche con i nuovi strumenti, come l’iniziativa di cittadini europei, che si renderanno disponibili dal prossimo anno. 
La partita aperta continua ad avere questo grande significato, e cioè di una battaglia che, in realtà , si gioca attorno all’idea di fondo di modello sociale e produttivo. Non si tratta solo di difendere la volontà  espressa dalla maggioranza assoluta dei cittadini italiani, né solo di evitare che l’acqua e il servizio idrico vengano privatizzati. Quello su cui stiamo discutendo e combattendo è se il mercato e la finanza, che hanno prodotto la crisi economica e sociale in cui siamo immersi da diversi anni, possono continuare a costituire l’elemento fondante e regolatore dell’intera società , oppure se può essere messa in campo un’idea alternativa, basata sulla centralità  dei beni comuni e del lavoro, capace di produrre assetti economici e sociali più giusti e in grado di delineare una nuova qualità  dello sviluppo. O, per dirla in altri termini, tornando all’attualità  del decreto sulle liberalizzazioni di questi giorni, se è pensabile prendere sul serio le mirabolanti promesse incredibilmente esibite dal governo, secondo il quale con questo provvedimento il Pil crescerà  dell’ 11%, i salari del 12%, i consumi e l’occupazione dell’8% e gli investimenti del 18%, stime cieche basate – come ha fatto notare giustamente Stefano Rodotà  – sull’identificazione del concetto di interesse pubblico generale con il principio della concorrenza, e se non si tratta invece di iniziare a ragionare e produrre iniziativa perché i beni comuni e il lavoro possano essere gli assi fondanti di un nuovo progetto di economia e società .
* Fp Cgil – Forum italiano
movimenti per l’acqua


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