Antigone “No alla privatizzazione delle carceri, via l’art. 43 del decreto liberalizzazioni”

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ROMA – Un secco “no” alla proposta di privatizzazione delle carceri prevista dal decreto liberalizzazioni. A ribadirlo questa mattina in una conferenza stampa in Senato è stato Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, insieme a Stefano Anastasia dell’università  di Perugia, Franco Corleone del coordinamento nazionale dei garanti dei detenuti, Salvatore Chiaramonte della Fp Cgil e Cecco Bellosi del Cnca. A essere preso di mira è in particolare l’articolo 43 del decreto che prevede il project financing per la realizzazione di infrastrutture carcerarie. Secondo i promotori del “no” il trattamento penitenziario non può essere affidato a chi ha scopi di lucro; non si possono infatti affidare le opportunità  di ritorno anticipato in libertà  a imprenditori privati che hanno interesse a trattenere i detenuti essendo per loro un guadagno. Tra i rischi quindi c’è quello del mantenimento delle carceri in una situazione di sovraffollamento “avendo i privati interesse nel tenerle piene”. A ciò si aggiunge il pericolo di corruzione dei giudici per avere più detenuti, di violenza, di assoggettamento al lavoro forzato e quello di discriminazione dei detenuti a seconda di chi gestisce l’istituto di pena. Un rischio quest’ultimo che se si verificasse porterebbe secondo Gonnella a una palese situazione di “incostituzionalità ”, così come sarebbe incostituzionale affidare la salute dei detenuti a un imprenditore privato. 

“Quello che chiediamo è che questa norma sia cassata o almeno emendata specificando le funzioni che mai devono essere concesse ai privati – afferma il presidente di Antigone – .E queste funzioni sono quelle che riguardano il trattamento, la salute e il lavoro, ma anche il management perché i direttori degli istituti devono rimanere pubblici. Nel decreto, invece, è prevista solo l’esclusione della custodia”. “Il problema non è quello di aumentare il parco edilizio penitenziario – continua Gonnella ma di investire nella manutenzione di quello che già  c’è e cambiare le leggi che producono carcerazione eccessiva”. Sono state poi ricordate le cosiddette “carceri fantasma”, i 38 istituti di pena mai finiti che già  esistono ma non sono utilizzati e quelli di Rieti e Trento, sfruttati in maniera parziale. Un caso a parte, poi, è quello del carcere di Sassari, aggiudicato con procedura d’urgenza alla società  di Diego Anemone.

“Il testo del decreto è impraticabile nel nostro ordinamento – aggiunge Stefano Anastasia, docente dell’università  di Perugia -. I detenuti godono di diritti fondamentali, primo fra tutti il diritto al trattamento, a cui corrisponde l’obbligo di prestazione da parte dello Stato che non può quindi delegare al privato alcune funzioni come l’assistenza sanitaria”. Salvatore Chiaramonte ha ricordato che la situazione delle carceri in questo momento è “emergenziale per il sovraffollamento al limite dell’inciviltà . E, inoltre, tutti gli strumenti a partire dal personale sono in drastico ridimensionamento. La risposta non è certo il project financing”, ha detto. Secondo Chiaramonte si deve ragionare piuttosto sullo svuotamento e “sulla depenalizzazione di alcuni reati creati dal governo precedente come il reato dell’essere immigrato, cioè di clandestinità , e i reati legati all’uso di sostanze stupefacenti”. Franco Corleone ha sottolineato come uno degli ambiti dove andrebbe incrementata la presenza dei privati potrebbe essere, invece, quello delle misure alternative.

“Crediamo che vadano aperti spazi ulteriori di accoglienza – aggiunge Bellosi – . E le risorse sono da 10 a 20 volte inferiori a quelle di un solo nuovo carcere. Occorre battersi anche perché con la chiusura degli opg non si passi da grandi a piccole strutture, che nella sostanza sono identiche”. Alla conferenza erano presenti anche i sentori Vincenzo Vita, Marco Perduca e Silvia Della Monica che si sono impegnati a presentare emendamenti per restringere il campo delle funzioni cedute ai privati. Gli emendamenti dovranno essere presentati entro il 10 febbraio, dopo dieci giorni inizierà  invece la discussione in Senato.  (ec)

 

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