Articolo 18, il governo ci riprova
Superare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. L’obiettivo, a pochi giorni dall’avvio del confronto con sindacati e Confindustria, rientra nell’agenda del governo. Anche se forse non ne era mai uscito. Era stato solo sapientemente accantonato dopo la bufera provocata dalle parole del ministro del Lavoro, Elsa Fornero, che aveva invitato i sindacati a discuterne senza tabù. D’altra parte è l’Europa (dalla Commissione alla Banca centrale) che ha chiesto all’Italia di cambiare le regole sui licenziamenti individuali, e su quell’indicazione il premier, Mario Monti, non ha alcuna intenzione di fare orecchie da mercante.
«Siamo stati chiamati per fare queste cose», ripete il Professore in questi giorni ai suoi diversi interlocutori. «Dobbiamo farle anche senza l’accordo di tutti. Questo è il nostro compito altrimenti non ci avrebbero chiamati. Tra un anno ce ne andremo. E questa è pure la ragione per cui non possiamo accettare veti». Né da parte della Cgil di Susanna Camusso, né da parte dei partiti che hanno dato il loro consenso al programma del governo tecnico fortemente voluto dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. È una questione di credibilità . «Perché questo è il nostro problema centrale: il deficit di credibilità », insiste Monti. «Altrimenti – aggiunge – lo spread non calerà mai». Tra due giorni Mario Monti comincerà il suo tour europeo: prima a Parigi per un convegno, ma dove dovrebbe incontrare anche Nicolas Sarkozy, poi, il 18 gennaio, a Londra con il primo ministro David Cameron, infine il previsto vertice trilaterale Roma-Parigi-Berlino. Monti si giocherà così la sua partita sulla flessibilità in materia di riduzione del debito in una fase negativa del ciclo economico. E l’ampiezza dei margini di manovra del nostro premier dipenderanno proprio dalle decisioni di politica economica che saprà prendere. Dunque difficile presentarsi al tavolo con Sarkozy e Merkel dicendo che sull’articolo 18 (considerato in Europa un’anomalia tutta italiana) non si può far nulla perché i sindacati non lo permettono e una parte del Pd nemmeno.
Questo, dunque, è il contesto in cui si sta muovendo il governo, convinto di avere una sponda decisiva al Quirinale. Ma questo spiega molto del crescente nervosismo con il quale ci si sta avvicinando agli appuntamenti della prossima settimana tra il ministro Fornero e i rappresentati di tutte le parti sociali. Il governo ha deciso di incontrare separatamente le singole organizzazioni. Un’impostazione che ha fatto imbufalire la Camusso la quale vede così chiaramente l’intenzione di non voler aprire alcuna trattativa. Ed è esattamente questo il metodo scelto dall’esecutivo. Non la concertazione triangolare tipica degli anni Novanta spesso inconcludente, bensì lo schema del dialogo sociale europeo: si ascoltano le opinioni di tutte le parti in causa su un tema ben delimitato (in questo caso il mercato del lavoro), ma poi si prendono i provvedimenti senza scambi. Appunto: senza negoziati. Questa è la missione del governo tecnico, secondo la concezione dello stesso premier. D’altra parte è il medesimo metodo che ha portato nell’arco di pochi giorni a una riforma strutturale delle pensioni che i sindacati, e la loro base, hanno finito per subire, praticamente senza reazione, se si esclude uno sciopero di mezza giornata: non era mai successo, dal 1967 in poi, che le confederazioni venissero del tutto tagliate fuori dalla definizione di una legge sulla previdenza. Pure questo è un segno dell’emergenza nella quale opera il governo Monti.
E l’emergenza impone tempi stretti. Monti e Fornero puntano a chiudere rapidamente anche il capitolo del mercato del lavoro. Non c’è comunque ancora una dead-line, di certo non lo è la data del 23 gennaio in cui è prevista la prossima riunione dell’Eurogruppo. «Ma prima si fa e meglio è», spiegano al Lavoro dove i tecnici stanno preparando la proposta-Fornero. Formalmente l’articolo 18 dello Statuto (la legge 300 del 1970) non sarà toccato. Continuerà ad essere valido per i lavoratori ai quali (quelli delle imprese con più di quindici dipendenti) già si applica. Per i nuovi assunti, per i disoccupati e per quanti lavoreranno per nuove aggregazioni aziendali, però, cambierà tutto. Sarà seguita la proposta del “contratto unico” presentata dal senatore del Pd, Pietro Ichino: licenziamento individuale possibile per motivi economici, tecnici o organizzativi ma al posto del reintegro nel posto di lavoro l’impresa dovrà corrispondere al lavoratore un’indennità economica decrescente nell’arco di un triennio durante il quale questi sarà impegnato in un piano di ricollocazione. La Confindustria sta preparando un confronto sui costi dell’indennità nei diversi paesi europei. Per oggi è previsto un incontro tra la Fornero e Ichino. E i sindacati, per ora fuori dal gioco, protestano.
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