Caso Mills, si valuta la ricusazione La richiesta del cavaliere è accolta

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Il più insidioso dei processi contro l’ex presidente del consiglio è sempre più vicino alla prescrizione. L’ultima mossa dei suoi avvocati difensori ha raggiunto l’obiettivo: allungare i tempi ancora una volta e ingarbugliare ancora di più la già  fittissima agenda di processi a carico del loro assistito. 
Ieri Berlusconi si è recato al palazzo di Giustizia di Milano dicendosi pronto a rilasciare dichiarazioni spontanee e anche a farsi interrogare. Si trattava però dell’udienza preliminare di un altro processo, quello che vede imputato Berlusconi nel caso Unipol, ovvero per la fuga di notizie che permise a il Giornale di rendere nota la famosa telefonata in cui Piero Fassino, allora segretario del Pd, diceva «Abbiamo una banca» all’ex amministratore delegato di Unipol Giovanni Consorte. Il giudice ha deciso di non sentire Berlusconi e ha rinviato tutto al 7 febbraio anche perché in un altro piano del tribunale milanese, sempre ieri, continuava il processo Ruby dove Berlusconi è imputato per prostituzione minorile e corruzione. I difensori del Cavaliere, Ghedini e Longo, avevano chiesto di rinviare quel processo vista la concomitanza dell’udienza per il caso Unipol e invece è successo esattamente il contrario. Il processo Ruby è andato avanti mentre il procedimento Unipol è stato rinviato. Berlusconi se n’è andato senza aver detto una parola seguito dai suoi avvocati scuri in volto.
Nel pomeriggio però la Corte d’appello ha ammesso la loro istanza di ricusazione dei giudici del caso Mills. Per Berlusconi si tratta di un’ottima notizia. I legali del Cavaliere sostengono che il presidente del collegio giudicante, Francesca Vitale, avrebbe tradito il suo «convincimento colpevolista» perché più volte avrebbe cercato di accelerare i tempi per evitare la prescrizione, lo avrebbe dichiarato pubblicamente in aula, e per questo avrebbe deciso di cassare le testimonianze di alcuni teste della difesa. Per l’avvocato della procura generale di Milano, Laura Bertolè Viale, la richiesta di ricusazione avrebbe dovuto essere rigettata perché è «dovere precipuo dei giudici portare a termine un processo prima del termine di prescirzione». La corte d’appello invece ha accettato di esaminare nel merito la richiesta dei legali dell’ex premier. 
A questo punto tutto si complica. L’esame della ricusazione infatti non può iniziare prima di quindici giorni. Il processo andrà  avanti fino alla camera di consiglio ma si fermerà  un minuto prima che venga pronunciata la sentenza di primo grado, in attesa di capire se i giudici che la dovrebbero emettere verrano ricusati o meno. I tempi di prescrizione non vengono bloccati. E se la data fatidica oltre la quale tutto si annulla scattasse a metà  febbraio, come stabilito dai giudici di merito, il processo sarebbe già  morto. Ma il limite ultimo potrebbe ancora slittare a maggio, almeno secondo fonti della corte d’appello. 
Intanto il 7 febbraio la Corte costituzionale deciderà  se Berlusconi deve essere giudicato come un cittadino comune per il caso Ruby o se invece ha ragione il tribunale dei ministri secondo cui Berlusconi avrebbe fatto la famosa telefonata alla questura di Milano per liberare Ruby convinto che fosse davvero la nipote di Mubarak. Dunque nell’ambito delle sue funzioni di presidente del consiglio. Una versione incredibile che però è legalmente efficace. Nell’ingorgo giuridico e burocratico che sta legando le mani ai giudici milanesi la realtà  dei fatti scompare sotto una montagna di cavalli e tecnicismi a tutto vantaggio dell’imputato Berlusconi. Dura lex sed lex.


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NON ABBIAMO BISOGNO DI ALTRI CAPI CARISMATICI

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Fra le scorie e i residui più velenosi del berlusconismo, destinato verosimilmente a durare anche oltre il governo terminale di Silvio Berlusconi, c’è quel bisogno diffuso di leaderismo che è stato inoculato nel corpo sociale dalla personalizzazione della politica, favorita a sua volta dall’amplificazione mediatica e in particolare da quella televisiva.

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