C’è del marcio al Pirellone

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MILANO – Avanti un altro. Ieri la procura di Monza ha disposto l’arresto di Massimo Ponzoni (al momento si trova all’estero). Dopo Filippo Penati e Franco Nicoli Cristiani, Ponzoni è il terzo inquisito sui cinque componenti dell’ufficio di presidenza del consiglio regionale della Lombardia. E, per la prima volta, anche il Pd chiede che il governatore si dimetta e che venga ridata la parola agli elettori. Finalmente.
Il nome di Ponzoni, ex assessore all’ambiente nelle passate giunte di Formigoni, era già  emerso nelle inchieste condotte dalla procura di Monza sul fallimento della società  Pellicano di cui Ponzoni è stato amministratore delegato, e nelle indagini sui piani regolatori dei comuni brianzoli di Giussano e Desio. I magistrati di Monza hanno disposto l’arresto anche dell’ex assessore provinciale di Monza Rosario Perri, del vicepresidente della provincia di Monza Antoninio Brambilla e dell’ex sindaco di Giussano Franco Riva, tutti del Pdl. Sono accusati a vario titolo di bancarotta fraudolenta e corruzione. In particolare Ponzoni è accusato di aver svuotato i capitali della società  Pellicano di cui era socia anche Rosanna Gariboldi, l’assessore provinciale di Pavia che girava con la Porsche fornitagli dall’imprenditore Giuseppe Grossi, arrestato nell’ambito dell’inchiesta per la bonifica del quartiere milanese di Santa Giulia, e moglie dell’esponente di spicco del Pdl Lombardo Giancarlo Abelli, uomo molto vicino a Formigoni. Inoltre, il nome di Ponzoni era comparso anche nell’inchiesta «Infinito» della procura di Milano che ha svelato la rete di infiltrazioni della ‘ndrangheta in Lombardia. Ponzoni era descritto come il «capitale sociale» delle cosche che avrebbero fatto convergere su di lui i voti alle elezioni regionali. 
In una lettera sequestrata dalla Guardia di Finanza nel marzo del 2009, e ora riportata nel provvedimento di custodia cautelare, Sergio Pennati, ex socio e braccio destro di Ponzoni, indica nomi, cifre, favori, appalti pilotati, e anche vacanze pagate non solo a Ponzoni ma ad altri esponenti politici. Fra questi compare anche il nome di Formigoni. Si parla di «somme in contanti per comprare voti e pagare ristoranti» per la campagna elettorale di Ponzoni costate «circa 1.600.000 euro» grazie a una rete di «società  che hanno pagato prestazioni o forniture».
Formigoni nega ogni addebito, vacanze e barche pagate comprese, e cerca ancora una volta di ridurre tutto a una vicenda personale. Afferma che al Pirellone non ci sarebbe «né una questione morale né una questione politica». Ma per lui è sempre più difficile resistere in Lombardia in attesa di tentare fortuna a Roma.
«A differenza degli altri casi, di Ponzoni tutti sapevano tutto da sempre – commenta Luciano Muhlbauer, ex consigliere regionale del Prc – è netta l’impressione che Formigoni, ben conscio del fatto che il marcio del suo sistema di potere stesse ormai per straripare, come infatti sta succedendo, avesse optato per collocare i suoi collaboratori più a rischio fuori dalla giunta, ma in posti protetti e ben retribuiti, che peraltro gli permettevano di continuare ad agire». Il Prc, come Sel, chiede le dimissioni di Formigoni. Ma la novità  è che le chiedono anche il segretario regionale del Pd, Maurizio Martina e il capogruppo in Regione, Luca Gaffuri: «Non ha più senso tirare a campare». Anche Bersani nei giorni scorsi, a Milano, aveva aperto il dibattito su future elezioni lombarde lanciandosi in una previsione molto ottimistica «Qui possiamo vincere facile», mentre Pisapia dopo natale aveva lanciato la volata al Pirellone, a patto che per la Regione la sinistra applichi il modello di democrazia partecipata che ha portato alla conquista di Milano. Quindi, niente di più difficile.


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