Declassati i sindacati

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Cgil, Cisl e Uil vedono la ministra Fornero. Separatamente (come voleva Monti) e non più con il premier. Uno schiaffo al loro «ruolo politico» e alla parte di società  che rappresentano La riforma del mercato del lavoro parte malissimo. Già  cancellata la «lotta alla precarietà » Francesco Piccioni
Non c’è da essere ottimisti. Gli incontri tra il governo e i sindacati confederali sulla «riforma del mercato del lavoro» sono iniziati. Ieri è toccato a Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, e Luigi Angeletti, pari grado nella Uil (Susanna Camusso, leader della Cgil, l’aveva fatto venerdì). Ma si tratta di «incontri informali», come hanno tenuto a precisare dal ministero del lavoro; di «incontri separati», come aveva preteso fin dall’ijnizio il presidente del consiglio Mario Monti. Soprattutto si tratta di incontri «declassati»: non è Monti a parlare con i segretari generali Cgil, Cisl e Uil, ma Elsa Fornero, ministro del welfare. Autorevole, certo, ma non è il premier.
Il «metodo» scelto è dunque stato ribadito e rafforzato. In questa fase, dicono da via Veneto, il ministro si limita ad «ascoltare e prendere appunti», senza esporre grandi progetti. Mercoledì toccherà  anche a Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, e così sarà  completato il giro di consultazioni con le parti sociali. Poi «si definirà  l’agenda relativa a temi e modalità  del confronto». Che non sarà  lungo, viene anticipato, perché la riforma «va fatta», se non entro gennaio, «nemmeno dopo Pasqua». Febbraio, diciamo. Come per le pensioni: decide il governo, non si «contratta».
Una conferma indiretta è venuta ieri da Bonanni, che è uscito dopo tre ore di colloquio asserendo che «non abbiamo parlato di nulla di particolare, o comunque nulla che ci porti a divisioni». Un semplice «lavoro propedeutico per darsi degli indirizzi», con l’obiettivo di arrivare al più presto al confronto sulle «proposte che farà  il governo e le proposte che gli impernditori e i sindacati faranno insieme». Già  questo è un bell’elemento di confusione: cosa possono «proporre insieme» rappresentanti dei lavoratori e delle imprese in una fase in cui le seconde chiedono soprattutto – sul terreno delle regole contrattuali – libertà  di licenziare i primi?
Il tasto dolente è in effetti l’art. 18, su cui la Cgil intera per ora non mostra alcuna voglia di discutere, ma che per Monti «non è un tabù». Una parola che viene usata in genere per dire: «sì, vogliamo quella cosa lì e pensiamo di poterla avere presto».
In assenza di informazioni dettagliate sulle intenzioni del governo, dunque, non resta che resocontare le richieste sindacali. Unitarie fino ad un certo punto, comunque accennate dai due segretari «complici» di Sacconi e del governo berlusconiano. Una «riforma fiscale in chiave redistributiva», come se i mancati adeguamenti salariali (come rilevato anche dall’Istat) potessero essere pacificamente compensati con sgravi fiscali, ossia con minori entrate per uno Stato con l’acqua alla gola. Sugli ammortizzatori sociali, con la disponibilità  (anche della Camusso) a «rivedere» i meccanismi della cassa integrazione, compensati da qualche estensione dell’assegno di disoccupazione. A occhio, un gioco in cui ci si rimette qualcosa di certo per una incerta. E poi la richiesta che il «lavoro precario» costi più di quello a tempo indeterminato (anche qui: si lascia perdere l’obiettivo di ridurre al minimo i contratti «atipici»), incentivando quello in «somministrazione» (Manpower ecc, ringraziano) e «il vero contratto unico: l’apprendistato».
E la Cgil? La Camusso, parlando a La7, ha ribadito il fermo «no» all’eliminazione dell’art. 18, in base al principio di buon senso che «per creare lavoro non si può licenziare di più». Ma ha anche ricordato – per controbattere l’accusa giornalistica di «fare pregiudizialmente le barricate» – che la Cgil non si è mai «tirata indietro» in molti casi di «riconversione o ridimensionamento» aziendale.
Ma è stato su una frase detta forse di sfuggita che si è appuntata l’attenzione degli addeti ai lavori: «stare al lavoro fino a 72 anni è una follia, perché così non si dà  ai giovani la possibilità  di inserirsi nelle aziende». Forse è ingiusto anche per i poveri 72enni, ma la domanda è: da dove è venuta fuori questa nuova «soglia»? Dai calcoli sui prolungamenti automatici rapportati alle aspettative di vita «nel 2050», oppure dal colloquio con la Fornero?
In ogni caso, la discussione sull’età  pensionabile sempre più alta rivela un obiettivo di radicale modifica della vita sociale: in cui l’uscita dal lavoro (se si ha la fortuna di trovarlo) non è più prevista.
Di fronte a uno scenario piuttosto fosco per le prossime settimane, la Camusso ha voluto trovare almeno un lato positivo nel governo Monti: «ha detto che non c’è l’intenzione di dividere i sindacati: un bel salto di qualità  rispetto al governo precedente». Il rischio concreto, però, è che spacchi la sua Cgil. perché da un lato l’«unità » è importante, ma non più del «per fare cosa?». Dall’altro, con il metodo degli «incontri separati e declassati», Monti dà  a vedere che la sua preoccupazione non è di dividere i sindacati. Forse perché non ne teme granché la reazione.


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