Diritto all’oblio.it

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«Questa invenzione – profetizzò il giudice della Corte Suprema Brandeis – distruggerà  per sempre il diritto alla privacy esponendo a tutti la nostra vita». Era l’anno 1890 e il diabolico congegno era la prima macchinetta fotografica della Kodak. Il pensiero della “memoria totale” e semidivina della Rete che tutto registra, tutto ricorda e tutto rigurgita avrebbe spinto l’insigne giureconsulto alla disperazione. Ogni epoca ha il proprio archivio collettivo e indiscreto, ogni tempo ha la propria memoria indelebile. Biblioteche, emeroteche, semplici album di famiglia scoperti in soffitta, pacchi di lettere d’amore o collezioni di papiri non soffrono di Alzheimer e conservano negli anni le tracce della macchia umana, i graffiti del nostro passaggio sulla Terra. Non c’è stato bisogno di Internet e della memoria digitale assoluta per scoprire che uno dei più tenaci pettegolezzi su Thomas Jefferson, il secondo Presidente americano, era fondato. E che il padre della democrazia aveva prodotto, insieme con la Dichiarazione d’Indipendenza, anche sei figli maschi con la sua schiava Sally Hemings.
Ma voci da salotto, fotografie “rubate” grazie all’invenzione della Kodak e “gossip” da tabloid di carta, un altro degli incubi dei giuristi alla fine dell’800, indirizzavano la propria minaccia sui potenti, sulle celebrità , sui “big”. Una immensa platea di ficcanaso e di pettegoli, cioè noi tutti, poteva concentrarsi sul piccolo palcoscenico del palazzo reale, della politica, dello spettacolo e del bel mondo. La rivoluzione della Rete, la sua promessa che è insieme la sua minaccia, è l’estensione della vulnerabilità  personale a tutti, senza distinzione di razza, religione o censo.
Si può essere una qualsiasi Stacy Snyder, caso celebre, professoressa di scuola media in Pennsylvania, e avere la propria vita e la carriera di insegnante distrutta da una foto messa su Facebook che la riprende mentre, truccata da Pirata a una festa, beve whisky. Attività  perfettamente legittima, per un’adulta, ma giudicata diseducativa e disdicevole dai superiori, che la licenziarono. Una giovane segretaria di uno studio legale canadese perse il lavoro quando esclamò su Twitter «Sono così annoiataaaa» e trascuriamo pure le video clip di acrobazie amorose con il proprio partner. E sembra un’idea così divertente ed eccitante fino a quando ci si scopre con le gambe all’aria su siti porno o in social network, come fu per Paris Hilton, esposti per esibizionismo o per vendetta dal caro videoamatore.
Se un candidato a qualsiasi incarico elettorale ormai sa che l'”oppo team”, gli investigatori della parte avversa, faranno pesca a strascico nell’oceano digitale per scoprire se mai abbia preso una contravvenzione o sia stato fotografato in atteggiamenti ambigui con un uomo o una donna, ogni umile aspirante a un posto di lavoro è regolarmente sottoposto a una ricerca in Rete, da Twitter a MySpace, da Facebook a eBay, per scoprire le sue abitudini, le frequentazioni, gli acquisti, le debolezze. Il 75% dei richiedenti è scandagliato in Rete prima dell’assunzione, calcola la Microsoft, che certamente sa di che cosa parla. Qualcosa, non necessariamente vero, forse soltanto la calunnia di una morosa tradita, di un creditore irritato, di un marito deluso, di un giornalista malevole, salterà  fuori.
Da quattro anni, la Libreria del Congresso, la più grande “memoria collettiva” al mondo che archivia i manuali per la riparazione delle automobili come i più oscuri saggi in aramaico, cataloga e registra tutti i “tweet”. Tutto si crea, nell’universo del Web, e nulla si distrugge. Il diritto all’oblio che il trascorrere del tempo concedeva ai peccatori e agli incauti è stato distrutto. Nel suo Cancella: la virtù della dimenticanza nell’età  digitale, Viktor Mayer-Schà¶nberger di Harvard rimpiange, con nostalgia e con preoccupazione, il tempo della dimenticanza, il valore essenziale del poter scordare il passato, gli errori, e di poter ricominciare daccapo, «senza il fardello del passato».
Esattamente quello che la memoria assoluta dei server sciocchi ma implacabili non sanno fare, se non sono istruiti e programmati dagli uomini. Occorre fare l’esperienza diretta della vendetta della memoria, per riconoscere il pericolo, come accadde a Elliot Spitzer, già  procuratore capo e poi governatore a New York. «Sappiate che tutto quanto scrivete nella posta elettronica o mandate nei vostri sms potrà  essere e sarà  registrato e archiviato» ammoniva saggiamente. Fino a quando scoprì che anche le sue conversazione con una “maitresse” di escort newyorkesi erano state registrate per essere usate contro di lui.
L’indelebile memoria della Rete, che offre l’apparenza della verità  ma con la stessa indifferente pervicacia ricorda il falso, è il salto di qualità  del vecchio “Grande Fratello”, divenuto “Grande Archivista”. Una divinità  del confessionale planetario. Narrava La risposta – un profetico racconto breve di fantascienza, oggi meno “fanta” e molto più scienza, di Frederic Brown – degli scienziati e capi di governo e leader religiosi raccolti attorno al primo supercomputer infallibile per porgli la domanda che tormenta l’umanità : «Dio c’è?». Adesso sì, c’è, rispose il computer.


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