Egitto anno 1: passi avanti e sfide aperte

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A un anno di distanza molte cose sono cambiate anche se gran parte dei problemi restano sul campo, dalle difficoltà  economiche, alle frizioni tra gruppi religiosi (si pensi ai ciclici episodi di violenza tra mussulmani e copti che si ripetono incontrollati), alla transizione del potere. Il “compimento della rivoluzione” o il suo “tradimento” sono questioni ricorrenti – storicamente conosciute dal tempo della Rivoluzione francese – che accompagnano ogni rivolgimento sociale e politico e che alimentano il clima di tensione e le responsabilità  dei gruppi ora alla guida della situazione.

Un passo in avanti però si è compiuto: lo svolgimento, abbastanza corretto e libero, delle elezioni parlamentari (anche se in queste settimane si sta votando per l’elezione del Consiglio consultivo). Il Parlamento, detto Majles a-Shaab, l’Assemblea del Popolo (Camera bassa), dovrà  poi nominare 100 membri dell’Assemblea costituente.

Riporta il sito di Lettera43: “Come ampiamente previsto, a trionfare è il partito diGiustizia e Libertà  dei Fratelli musulmani, che ha incassato 127 seggi nella quota proporzionale nell’assemblea del popolo, pari a circa il 40%. Ai salafiti, gli estremisti islamici, di al Nour sono andati invece 96 seggi, secondo i dati definitivi appena annunciati dalla commissione elettorale. Al terzo posto si è piazzato il partito moderato del Wafd con 36 seggi e al quarto il Blocco egiziano, nel quale figura il movimento del tycoon Naguib Sawiris, con 33 seggi. Complessivamente sono 508 i seggi dell’Assemblea, equivalente alla Camera dei deputati. E, in totale, sono 13 i partiti, sui circa 30 presentatisi, che sono riusciti a portare rappresentanti in Parlamento. Una 15ina di seggi li ha incassati anche il gruppetto di partiti riconducibili a esponenti del disciolto partito di Mubarak, il Partito nazionale democratico”.

La Fratellanza può cantare vittoria benché, come consuetudine nei partiti che escono premiati dalle urne, le prime dichiarazioni siano segnate da una grande prudenza, soprattutto per quando riguarda le prossime elezioni presidenziali. Il capo della confraternita, Mohamed Badie, ha annunciato alla televisione egiziana che non sosterrà  un candidato islamista alle presidenziali in Egitto. Dopo il ritiro della candidatura di Mohamed el Baradei, Giustizia e libertà  non sostiene nessuno e quindi non si capisce ancora chi alla fine sarà  proposto.

Il capo del Consiglio militare egiziano Huissein Tantawi, invece, cerca di mantenere un autonomo spazio di manovra. Scrive ancora Lettera43: “Dopo mesi di dura repressione, nella giornata del trionfo dei musulmani, ha graziato 1959 detenuti d’opinione, già  giudicati dalla giustizia militare. Tra di loro, c’è anche il blogger egiziano Maikel Nabil, in carcere dall’aprile scorso con l’accusa di avere insultato le forze armate, libero dal 22 gennaio. Un caso che aveva sollevato scalpore e che, adesso, sta facendo il giro dei social network. Tantawi, che dalla deposizione di Hosni Mubarak ha di fatto accentrato su di sé i poteri, ha eletto dieci parlamentari di nomina presidenziale, cinque dei quali copti”. Il 23 gennaio poi è avvenuto il passaggio del potere legislativo dal Consiglio militare al Parlamento, mentre due giorni dopo, il 25 gennaio, mentre si svolgevaun’imponente manifestazione per ricordare quella che è diventata la “giornata della rivoluzione”, è stato revocato lo stato di emergenza che vigeva dal 1981, anno dell’assassinio di Sadat.

Che cosa ne è invece dei movimenti rivoluzionari che hanno acceso la miccia del cambiamento? Sono usciti sconfitti dalle elezioni. “I “rivoluzionari” non hanno molti motivi per essere allegri. La loro lista elettorale, Rivoluzione Continua, ha conquistato appena sette seggi. Hanno fatto il pieno invece gli islamisti che non presero subito parte alla rivoluzione e per molti giorni mantennero un atteggiamento ambiguo, in attesa di capire il destino di Mubarak”.

Davanti all’Egitto e di conseguenza alla comunità  internazionale si presentano sfide difficili. Interessante e determinante sarà  capire come si evolveranno i rapporti con lo Stato di Israele. La “pace fredda” di Camp David, durata 32 anni, si trasformerà  con ogni probabilità  in una “guerra fredda”. Su questo le posizioni dei Fratelli mussulmani e dei riformisti liberali non divergono molto.

Per esempio, uno dei fondatori di Kifaya (che significa “Basta”), uno dei movimenti più attivi di questa stagione rivoluzionaria, Abd Qindil, impegnato per la tutela dei diritti umani, promuove da tempo un referendum sul “congelamento o l’annullamento del Trattato di pace con Israele” per liberare l’Egitto dai “diktat dell’imperialismo americano – israeliano”. Il partito Al-Gad, con il suo leader Ayman Nur, presenta la stessa ambiguità : nella piattaforma del movimento si indica la via diplomatica per la risoluzione dei conflitti ma nello stesso tempo chiama gli arabi alla comune lotta contro il nemico sionista. Nur elogia apertamente la Seconda Intifada quanto il ruolo di Hezbollah per il contenimento di Israele.

La Fratellanza è chiara a riguardo, anche se finora non sono stati presi decisi provvedimenti politici. Tutti i leader del movimento attaccano frontalmente gli accordi con Israele, che non riconoscono come entità  statale, molti utilizzano la retorica dell’onore arabo e del complotto internazionale, alcuni auspicano una società  islamica dove si applica la sharia secondo un modello simile a quello dell’Iran. Con tutta probabilità  si andrà  a un referendum popolare sugli accordi di Camp David: l’esito della consultazione è scontato e Israele perderà  un vicino alleato. Ma questa sarà  un’altra pagina.


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