Evasione una riforma a costo zero

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Il “blitz” di Cortina ha scatenato un assurdo clamore: i controlli fiscali, per quanto intrusivi, dovrebbero essere la norma, non l’eccezione. Ma anche il rilievo che gli è stato dato mi lascia perplesso. Come gesto dimostrativo ha sortito l’effetto desiderato. Ma lo Stato, come ho scritto su queste pagine il 27 dicembre, dispone oggi di strumenti molto più efficienti per stanare gli evasori. A questi dovrebbe ricorrere.
1. Di demagogia ce n’è fin troppa. La parola d’ordine nell’azione di contrasto all’evasione dovrebbe essere “efficienza”. Per questo avevo proposto di calcolare ufficialmente e rendere pubblico il Tax gap: la misura delle imposte dovute e non pagate in ogni anno. Come fanno Usa, Gran Bretagna, Svezia, Olanda, e tanti altri. Da noi, invece, abbondano studi occasionali. E stime non verificabili, approssimazioni e congetture. Solo la pubblicazione annuale di un dato ufficiale può fornire una misura realistica del fenomeno, documentare i progressi nella lotta all’evasione e verificarne l’efficacia. Nel 2010 l’Agenzia delle Entrate ha recuperato 10,6 miliardi: è tanto o poco? È più del doppio di cinque anni fa, ma in assenza di una stima ufficiale di quale sia stato l’andamento dell’evasione, non è dato sapere se e quanto rapidamente facciamo progressi. Né si può valutare l’efficacia della miriade di provvedimenti presi in questi anni, la produttività  delle risorse che lo Stato investe nell’azione di contrasto, o quanta evasione si possa realisticamente recuperare. 
Negli Usa si stima che ogni dollaro investito in accertamenti ne produca 4 di entrate recuperate. Noi neanche sappiamo quanto costa l’apparato dello Stato. Negli Usa il Tax gap è stabile al 15% (l’obiettivo del 10% non è mai stato raggiunto); in Gran Bretagna è all’8%. Se si prende per buona la stima di 150 miliardi di evasione in Italia, con un gettito complessivo di circa 700 miliardi, per essere in linea con gli Usa dovremmo puntare a recuperare imposte evase per circa 20 miliardi; e circa 80 per raggiungere la Gran Bretagna. Il punto è che se nella lotta all’evasione si vuole passare dalla demagogia all’efficienza, bisogna cominciare a misurare scientificamente l’evasione. Ma di Tax gap il Governo Monti non parla. Quello precedente aveva istituito la Commissione Giovannini che però aveva liquidato l’argomento: l’Istat si sarebbe limitata a una stima dell’economia sommersa (solo una parte dell’evasione), mentre l’Agenzia delle Entrate non voleva o non poteva.

PAGARE TUTTI, PAGARE MENO 
La lotta all’evasione non dovrebbe essere uno strumento per aumentare il gettito. Ma per ridistribuire il reddito a favore di chi le tasse le ha sempre pagate. Solo restituendo gli introiti dell’evasione recuperata, in forma di minori aliquote, si può dare un senso di maggior equità . Per questo avevo proposto che il Governo stabilisse, per ogni anno, un livello obiettivo di pressione fiscale, per poi restituire le imposte raccolte oltre quel livello nell’anno successivo. Una misura del Tax gap permetterebbe inoltre di comunicare al pubblico quanta parte delle aliquote è dovuta “all’addizionale evasione”: così ogni cittadino onesto avrebbe una misura di quanto paga in più grazie agli evasori, e toccherebbe con mano il beneficio di un’eventuale maggiore legalità . Si può ottenere una maggiore efficacia del sistema fiscale: (a) aumentando la probabilità  per un evasore di essere scoperto; (b) innalzando l’efficienza e produttività  dei controlli; (c) aumentando trasparenza e semplicità  del sistema tributario; (d) innalzando le penalità  per chi evade; ed (e) modificando i comportamenti individuali e collettivi.

UN METODO A TRE STADI
Per aumentare la probabilità  di scoprire l’evasione, massimizzando le imposte recuperate, lo Stato potrebbe adottare un metodo a tre stadi. Primo, usare meglio i tanti strumenti induttivi a disposizione (redditometro, studi di settore, tracciabilità  del contante, accesso a tutte le transazioni finanziarie, dati su attività  mobiliari e immobiliari, utenze) a scopo statistico, per individuare i potenziali soggetti evasori. Integrando le banche dati ed evitando duplicazioni: come i dati sulle transazioni finanziarie e quelli del redditometro. Trasformandoli in strumenti analitici: per esempio, gli studi di settore, invece di essere il risultato di una negoziazione con le associazioni di categoria per determinare un reddito minimo accettabile, dovrebbero basarsi su modelli econometrici che tengano conto dei tanti parametri quantificabili che determinano il probabile valore di un esercizio commerciale, di un’attività  o di una professione. Ma soprattutto lo Stato dovrebbe rivelare ai cittadini i parametri utilizzati per analizzare i dati, in modo che ognuno possa sapere come il Fisco valuterà  la sua dichiarazione: la deterrenza è il modo migliore per ridurre l’evasione. 
Per questo, auspicando l’abolizione del segreto bancario su queste colonne (15/8), avevo proposto che il Fisco stimasse dai conti bancari la capacità  complessiva di spesa, e quindi il reddito presumibile, di ogni codice fiscale (somma di tutte le uscite, meno dividendi e interessi incassati, meno/più gli investimenti/disinvestimenti nel periodo). È una singola cifra, facile da calcolare una volta l’anno, anche dal contribuente, e che per questo agirebbe da efficace deterrente all’evasione.
Per eliminare l’evasione sugli affitti basterebbe chiedere nella dichiarazione Ici se, e a chi, è affittato l’immobile; incrociare i dati dei conti correnti, delle utenze, dell’Agenzia del territorio, e dei valori commerciali degli affitti. In caso di sospetta evasione delegare ai Comuni le verifiche, in cambio di una percentuale sulle imposte recuperate. Non spiegare a priori come verranno utilizzati i dati raccolti, serve solo a raffigurare lo Stato come un orwelliano Grande Fratello. Un Fisco moderno usa gli strumenti induttivi a scopo statistico per allocare meglio le sue risorse: se un individuo viene identificato come probabile evasore, non scattano cartelle o accertamenti, ma una richiesta di documentare spese e introiti, in tempi brevi. Solo in difetto di spiegazioni scatta l’accertamento, che a questo punto, però, ha un’altissima probabilità  di portare a un rapido recupero di imposte evase. Non farà  scena come i lampeggianti blu della Guardia di Finanza. Ma funziona meglio.

LA SUPERAGENZIA 
Un sistema induttivo efficiente richiede un apparato efficiente e investimenti in professionalità . Quantitativamente l’Agenzia delle Entrate produce una mole enorme di accertamenti, circa 700mila l’anno (di cui solo 320 mila automatici) e ben 220mila su professionisti e piccole imprese. Equitalia ha in essere 1,6 milioni preavvisi di fermo e 450mila ipoteche. E poi c’è la Guardia di Finanza che dichiara 800mila controlli pianificati e 30mila verifiche. Secondo i dati disponibili, l’Internal Revenue Service americano compie circa 1 milione di accertamenti, di cui 200mila su individui ad alto reddito. In un paese dove la sola California ha quasi il Pil dell’Italia. Nel 2010 in Italia sono state accertate imposte evase per 28 miliardi, e recuperate per 10,6; negli Usa sono 45 i miliardi di dollari recuperati. Quanto a efficienza, dunque, c’è molto da fare.
Il contrasto all’evasione è suddiviso tra cinque istituzioni: Guardia di Finanza, Agenzia delle Entrate, Equitalia (a sua volta divisa in società  “regionali”, come se il contrasto all’evasione fosse un fenomeno “locale”), Sogei e Agenzia del Territorio. Questo crea duplicazioni, mancanza di coordinamento, disomogeneità  di professionalità  e di obiettivi. Va creata una Super Agenzia, meglio un’Authority, con un vertice unitario che risponda direttamente a Governo e Parlamento, che abbia obiettivi e risultati annuali di pubblico dominio, un organigramma razionale, e un budget separato e trasparente. Le funzioni di polizia tributaria della Finanza dovrebbero confluire in un’unità  specializzata in reati finanziari, corruzione e criminalità  organizzata; quelle di presidio dei confini, alla Polizia di Stato.

CONTENZIOSO RAPIDO 
L’efficienza deve toccare anche il contenzioso. Per quanto un migliore uso degli accertamenti in adesione e l’istituto della mediazione abbiano migliorato le cose, lunghezza e incertezza del contenzioso rendono conveniente il litigio. Nei tre gradi di giudizio, lo Stato ha la meglio nel 61% dei casi, e recupera in media il 70% del richiesto. Quindi, chi opta per il contenzioso si aspetta di pagare in media 43 euro ogni 100 richiestigli dal Fisco. Così, nei circa 9500 accertamenti assistiti da indagini finanziarie (presumibilmente le evasioni più gravi) ben 2 su 3 optano per il contenzioso. 
Almeno per il contenzioso tributario civile i gradi di giudizio dovrebbero essere ridotti da tre a uno (assurdo andare in Cassazione per una lite col fisco); con un’unica possibilità  di ricorso, non automatica, ma solo dopo esame di merito. E ci vogliono giudici specializzati, presso un numero limitato di tribunali, per garantire certezza del diritto e rapidità  di giudizio. Invece, si è conferito a Equitalia il diritto di esigere un terzo del pagamento prima dell’esito del contenzioso: così si incrina la fiducia del cittadino nello stato di diritto; e si certifica la sfiducia del Fisco nei propri mezzi.

LA RICERCA DELL’EFFICIENZA
L’efficienza infine richiede di allocare le risorse in funzione della dimensione dell’evasione recuperabile. Due esempi. L’Agenzia delle Entrate dichiara di voler utilizzare con estrema cautela il nuovo strumento dell’Abuso di Diritto (un’operazione finanziaria, e/o strumento, ha lo scopo di eludere le imposte se non avesse avuto ragione di esistere in assenza di un vantaggio fiscale): non più di 40 casi, su 3000 controlli. Forse perché richiede un’interpretazione economica di strumenti giuridici, contraria alla nostra tradizione e cultura. Eppure, è tremendamente efficace: perché sono le complesse strutture finanziarie che possono più facilmente facilitare l’elusione su vasta scala. Una scelta sorprendente in quanto proprio grazie all’Abuso di Diritto il Fisco ha recuperato circa 1 miliardo dalle banche italiane (limitandosi ai casi di pubblico dominio) che avevano abusato di “strumenti fiscali”. Ma nello stesso periodo, 30mila controlli su persone fisiche hanno portato ad accertare 500 milioni di imposte evase; saranno di meno quelle incassate.
Inoltre, l’Agenzia dà  priorità  alle dichiarazioni in procinto di prescrizione, operando quindi con un ritardo di 5 anni. Sarà  equo, ma è inefficiente: proprio in questi ultimi anni il Fisco si è dotato di tanti nuovi strumenti e sarebbe molto più efficace partire dalle ultime dichiarazioni, anche per dare un forte segnale di discontinuità  nella determinazione del contrasto all’evasione.

LA SEMPLIFICAZIONE 
L’evasione si combatte anche con la trasparenza e la semplicità . Un normativa complessa e intricata come quella italiana moltiplica le possibilità  di aggirare le regole, pagando meno del dovuto, e rende infinitamente più difficili e onerosi i controlli. In questo campo si potrebbe fare molto. Tre gli esempi. Primo, ogni deduzione, detrazione, sussidio, contributo, agevolazione, incentivo, crea un’opportunità  per ottenere indebitamente soldi dallo Stato. E moltiplica il numero e la complessità  delle verifiche, rendendo più probabile l’evasione. Quelle per le imprese andrebbero tutte azzerate, in cambio di un abbattimento dell’Irap, per raccogliere il necessario consenso politico. Per gli individui lascerei solo quelle per i familiari a carico e le spese sanitarie, sempre in cambio di minori aliquote.
Secondo, l’aliquota fiscale effettivamente pagata delle imprese è inversamente proporzionale a dimensione e complessità  societaria. In un’analisi su Affari e Finanza (12/9) ho mostrato come questa relazione sia marcata, costante negli ultimi 7 anni, indipendente dal settore di appartenenza, e dalla base imponibile utilizzata (utili contabili o free cash flow). In parte è dovuto alla maggiore incidenza del costo del lavoro, e quindi dell’Irap, sulle imprese di più piccole dimensioni; ma in gran parte è dovuto alla possibilità  dei maggiori gruppi di pianificare operazioni e struttura societaria al fine di abbattere il carico fiscale: più complessi sono, meno pagano. Per evitarlo, basterebbe eliminare la possibilità  di far pagare le imposte singolarmente a ogni società  appartenente a un gruppo. Il consolidato fiscale (ovvero le imposte su tutto il gruppo di società , come fossero una sola), oggi è un’opzione. Va reso obbligatorio per cancellare gran parte della pianificazione fiscale a scopo elusivo.
Terzo, le false residenze estere di imprese e individui. Il Fisco ha fatto passi avanti, utilizzando criteri soggettivi, come la residenza del centro degli affetti (vale a dire dove vivono I familiari), o il luogo dove si svolge la vera attività  di un’azienda, per contestare residenze estere a scopo elusivo. Ma i criteri soggettivi sono soggetti a interpretazioni e lungo contenzioso. Per tagliare il problema alla radice, si potrebbe fare come gli americani: chi ha il passaporto italiano paga le tasse anche in Italia, a prescindere dalla residenza, dedotte le imposte già  pagate all’estero. Qualsiasi trust, holding, fondo, società , il cui “beneficiary owner” ha passaporto italiano paga, pro quota, le imposte in Italia. È lo stesso principio che il nuovo decreto applica alle case degli italiani all’estero; basta estenderlo. A qualcuno verrà  la tentazione di bruciare il passaporto, ma il messaggio di determinazione sarebbe forte e chiaro. 

MANETTE AGLI EVASORI
L’evasione si può combattere anche con l’aumento delle sanzioni, ma credo sia la strada meno proficua. In Italia, tutto è reato e le pene sono sempre severissime. Peccato che nessuno le sconti mai. Ho cercato un dato sui giorni di prigione effettivamente scontati in Italia per i soli reati tributari: non ho trovato niente. Resta solo il ricordo indelebile di Sofia Loren in prigione, 20 anni fa. Ma è folklore. La ragione dello scarso utilizzo delle pene per i reati tributari è spiegato dalle scienze comportamentali: la volontà  di applicare la pena è inversamente proporzionale al numero di persone che violano la legge e la fanno franca. In un paese dove si ha la percezione di un gran numero di evasori impuniti, chi finisce in prigione per reati tributari diventa un poveretto assoggettato a una pena iniqua. Comprendo l’indignazione, ma i problemi si risolvono con la razionalità , non con l’emotività : le manette agli evasori non sono servite a nulla e continueranno a non servire.

RESPONSABILITA’ CONDIVISE
Il capitolo più importante è quello dei comportamenti individuali e collettivi. L’emulazione è il deterrente più efficace contro l’evasione: il singolo rispetta le regole che vede rispettate nella collettività  a cui appartiene; ma non si possono cambiare i comportamenti collettivi se non si cambiano quelli individuali. Si può cercare di farlo rendendo ogni individuo compartecipe della responsabilità  di non evadere. 
Oggi non è così. Molti italiani sono giustamente indignati per la prassi diffusa del pagamento in nero di prestazioni di lavoro e di servizio, al fine di evadere Iva, Irap e contributi sociali. Ma quanti di loro hanno accettato di pagare in nero un professionista o un artigiano per vedersi scontata l’Iva, o di farsi pagare in nero gli straordinari, maggiorati grazie ai contributi non versati dal datore di lavoro? La detraibilità  delle imposte pagate non è servita a nulla. E se per pagare le imposte bisogna farle detrarre a qualcun altro, lo Stato non incassa niente e il sistema fiscale si complica inutilmente. Per rompere il cerchio è necessario che anche chi paga senza esigere la fattura o chi riceve un salario in nero sia responsabile dell’evasione, e chiamato a risarcire lo Stato congiuntamente a chi non emette la fattura o non paga i contributi. Con la possibilità  di verificare le transazioni finanziarie, l’accertamento incrociato sarebbe possibile. E facilitato dall’interesse dell’evasore eventualmente scoperto a coinvolgere l’altro che ha permesso l’evasione. 

L’ESEMPIO DELLO STATO 
Lo Stato dovrebbe però prima dare il buon esempio, istituendo un’unità  anti corruzione che vigili in modo sistematico su tutti i dipendenti pubblici preposti alla lotta all’evasione, e su tutti gli amministratori e funzionari nella posizione di decidere su rapporti economici che implichino un esborso dello Stato a favore di un privato, o sulla concessione di benefici. Chi è preposto al controllo dei cittadini, anche intrudendo nella loro vita privata, deve essere disponibile a subire almeno controlli analoghi per severità  e profondità . Una volta si diceva che il buon esempio è la madre di tutti gli insegnamenti.


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