Giglio, operazione carburante al via

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Alcuni di loro preferiscono non guardare verso il faro rosso sul molo; c’è anche chi, come Margherita, va a prendere il traghetto per andare sul continente girandosi dall’altra parte e immaginando il porto com’era prima di quella notte di naufragio. Non ce la fa, le viene da piangere, a pensare ai morti, alle famiglie dei dispersi e al suo mare in pericolo. Sono passati quasi dieci giorni e dopo i momenti concitati del soccorso ai sopravvissuti, lei non è l’unica a vivere lo shock e la paura della contaminazione ambientale tentando una «rimozione» (anche solo visiva). Di fatto, nessuno ha pensato a un team di psicologi.
«L’isola non dorme, anche i bambini sono scossi. E sono in molti a sentirsi espropriati del loro territorio. Non c’è collegamento fra i tecnici del comitato scientifico che operano al Giglio e la popolazione. Eppure i locali conoscono bene i fondali, le correnti, l’ecosistema, potrebbero dare qualche consiglio, collaborare… ‘Non è un gioco’, continuano a dirci. Allora perché il tempo passa e il carburante rimane nei serbatoi? La Smit Salvage (la ditta olandese che si dovrebbe occupare del suo recupero, ndr) è pronta da giorni ormai…», si sfoga Lisa Cameron Smith, agronoma dell’isola e consulente dell’amministrazione. Per lei e per tutti, c’è una buona notizia: il commissario all’emergenza Franco Gabrielli ha sciolto la riserva, decretando che «le operazioni di defuel e search avverranno in contemporanea». La ricerca dei dispersi e lo svuotamento dei serbatoi potranno sovrapporsi. Lo start è in calendario per oggi e la previsione di durata delle complesse operazioni (il carburante ha una composizione quasi solida, bisognerà  inserire del vapore per scioglierlo, pomparlo fuori e intanto re-immettere acqua nelle casse per non alleggerire troppo il relitto) è di almeno 4 settimane. Se tutto va bene. Attorno al luogo dove opereranno i tecnici di Smit e di Neri, ci sarà  un pool interforze che interverrà  in caso di imprevisti: le navi gialle della Castalia, inviate dal ministero dell’ambiente, ma anche l’Orione della Marina Militare, più i mezzi dei vigili del fuoco e quelli della capitaneria. 
Franca, che gestisce un bar al Castello, teme fortemente per le sorti del desalinatore, che significa l’acqua per tutti. «Se lo chiudono, cosa accadrà ? Dovremo evacuare l’isola?». Gello, che gestisce un negozio di generi alimentari, è più fiducioso: le rilevazioni intorno al desalinatore non hanno ancora lanciato l’allarme. Ma i gigliesi che lavorano in mensa, preparando i pasti per le varie unità  presenti, vivono a stretto contatto con i sommozzatori e li sentono parlare. Dicono che quando sono sotto l’imbarcazione, l’acqua è talmente torbida che non vedono neanche le loro mani. Sono i liquami che fuoriescono, quei fattori inquinanti – solventi, alimenti, olii, materiali elettronici, liquidi per i condizionatori, creme, detersivi – che hanno già  attaccato il mare. I sommozzatori hanno anche visto la moquette dei pavimenti sospesa sul soffitto, segno che nessuna colla ha retto al sale marino.
I danni sono già  stati provocati dall’incidente e dall’affondamento di quella città  galleggiante. Ora si tratta di contenerli, nella consapevolezza che non si conoscono gli effetti a lungo termine dell’impatto di quel colosso pieno di veleni. Non li nasconde neanche il ministro dell’ambiente Corrado Clini, «la contaminazione è già  in atto», ha affermato. E ha annunciato che giovedì incontrerà  i rappresentanti della Confitarma e dei gruppi che gestiscono le crociere «per esplorare un accordo volontario di autogestione delle rotte, compatibile con l’ambiente». 
Sulle rive del Giglio, intanto, continuano ad arrivare pezzi della Concordia. Nella cala dell’Arenella sono comparse delle arance che erano sulla nave, a dispetto della barriera assorbente che circonda il relitto. E da Castello si vede una grande macchia scura che si espande in acqua, dirigendosi a nord.


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