Gli ufficiali smentiscono Schettino «Guardava la nave affondare»

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«Manovra gravemente imprudente e sconsiderata», la definisce il giudice Valeria Montesarchio nell’ordinanza che ha concesso all’indagato gli arresti domiciliari, ma senza attenuare affatto la sua posizione processuale. Anzi. Nel provvedimento viene riconosciuta la validità  dell’impianto accusatorio evidenziando la catena di indizi gravi raccolti contro Schettino e soprattutto «la sua personalità  negativa», la sua «condotta gravemente colposa per aver provocato un disastro di proporzioni mondiali» e soprattutto la «incredibile leggerezza nel valutare la portata effettiva della condotta posta in essere ai danni di oltre 4.000 persone affidate alla sua responsabilità ». 
Il giudice ben descrive nei dettagli con quale «imperizia e negligenza» abbia agito il comandante la sera di venerdì scorso. Spiega che la scelta di farlo uscire dal carcere è stata fatta soltanto perché «non sussiste il pericolo di fuga» ma per motivare questa sua convinzione fornisce un dettaglio agghiacciante: «Dopo aver abbandonato la nave, Schettino rimase fermo sulla scogliera dell’Isola del Giglio dove era approdato a bordo di una lancia e guardava la nave affondare in balia del tragico evento che si stava verificando». È l’atto finale di un serata di follia che comincia con la Concordia portata davanti al Giglio per l’«inchino» all’amico Mario Palombo e così continua nella ricostruzione che ne fa il giudice: «L’impatto con lo scoglio determinò l’apertura della falla attraverso la quale l’acqua invase i locali macchine e mandava in tilt l’impianto elettrico dei motori, cagionando il blackout all’interno della nave che, prima sbandando sul lato sinistro, cominciava a imbarcare acqua e a inclinarsi sul fianco opposto. In tale frangente il comandante sottovalutava la portata del danno e ometteva di avvisare per tempo le autorità  costiere dell’incidente così ritardando le procedure di emergenza e di soccorso». 
Durante l’interrogatorio Schettino ha dichiarato di non essersi reso conto della gravità  della situazione, ma a smentirlo sono due sottufficiali — una è Silvia Coronika, comandante in terza che poi salì con lui sulla scialuppa prima dell’evacuazione completa della nave — che raccontano a verbale di averlo avvisato che l’acqua aveva allagato la sala macchine. Nonostante questo, è scritto nel documento, «il segnale di emergenza veniva dato solo dopo 30, 40 minuti dall’impatto, come riferito dallo stesso Schettino». E il comandante mente, secondo il giudice, anche quando afferma di non aver «potuto gestire le procedure di emergenza e di soccorso perché sono finito dentro la scialuppa nel tentativo di metterla a mare». Infatti, scrive nell’ordinanza di custodia cautelare, «non ha compiuto alcun tentativo serio di ritornare almeno in prossimità  della nave nelle fasi immediatamente successive all’abbandono» e poi cita la relazione di servizio del capitano della Guardia costiera Gregorio De Falco che, dopo avergli ordinato senza esito di tornare a bordo in una serie di rabbiose e drammatiche telefonate, ha scritto che «il comandante non risultava essere lucido». 
Sabato, quando è arrivato nella caserma dei carabinieri di Orbetello che si occupano delle indagini sul naufragio, Schettino ha dichiarato: «Cambierò vita, sulle navi non voglio più salire». In realtà , si sottolinea nell’ordinanza, durante l’interrogatorio, pur ammettendo la sua imprudenza, ha cercato di stemperare la gravità  del suo errore con la manovra successiva compiuta per evitare l’allontanamento dalla costa del Giglio e ricordandola ha affermato: «Io sono un bravo comandante». Ed è proprio questo, secondo il giudice, a confermare l’esistenza di un grave rischio di «reiterazione di delitti a sfondo colposo perpetrati ai danni di terze persone affidate alla cura e alla responsabilità  dell’indagato che, se tornasse libero, non risulta inibito a continuare la sua attività ».


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