Gli Yacht in Fuga dai Porti d’Italia

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La Mara aveva le sue rughe ma i mari li solcava ancora e poi aveva il fascino del legno. Cabinato in abete, due motori da 165 cavalli, tutta bianca come un’elegante signora. Capitano era il signor Guido Spaggiari che per mantenere la famiglia e la Mara, ormeggiata al porto veneziano del Cavallino, faceva e fa l’informatore scientifico: «Il lavoro fortunatamente non mi manca ma le spese sono troppe e ho dovuto farlo». Ha dovuto cioè distruggere la barca di famiglia, cara in tutti i sensi. «Ho provato a venderla e non l’ha voluta nessuno, poi ho detto “la regalo” e ancora niente. Alla fine ho chiamato la ruspa e con 2.600 euro l’ho demolita. Un dolore». 
Spaggiari ha eliminato il problema alla radice ma sono molti in Italia gli appassionati di nautica che con il varo della «tassa di stazionamento» annunciata dal nuovo governo a dicembre (ogni scafo superiore ai 10 metri di lunghezza da maggio dovrà  pagare per lo spazio acqueo che occupa) stanno tentando di vendere il loro yacht o di portarlo in rade meno «salate». Nelle 500 basi nautiche della Penisola «stazionano circa 150 mila imbarcazioni da diporto — ragguaglia Roberto Perocchio, presidente di Assomarinas, l’associazione aderente a Confindustria che rappresenta 87 porti italiani, oggi in piazza a Trieste per protesta —. Ebbene, trentamila se ne stanno andando per raggiungere le coste slave ma anche Grecia, Turchia, Francia, Malta…». Magari esagera, Perocchio, ma il fenomeno esiste. Le acque più agitate sono quelle dell’Adriatico, dove la migrazione porta in Slovenia, a Capodistria, Pirano, Portorose, e in Croazia, da Umago a Dubrovnik, passando per Rovigno, Cherso, Orsera, Pola. Tutti approdi presi d’assalto dai diportisti italiani che stanno cercando di accaparrarsi quel che resta dei circa 8 mila posti barca a disposizione, dove il risparmio tocca il 40%. Loro stanno vivendo una stagione d’oro, nella stessa misura in cui i loro dirimpettai italiani registrano il periodo più nero. Sulle due sponde dell’Adriatico gli umori, dunque, sono opposti. Dalla parte slovena, a Portorose, capita così di vedere il volto raggiante del capitano Marjan Matevljic, gestore dei 650 ormeggi, che lancia cime e studia progetti: «Tutto esaurito, stiamo pensando di allargarci. Dall’Italia sono arrivate un centinaio di richieste che non abbiamo potuto soddisfare». Mentre dall’altra, undici miglia più in qua, sul litorale italiano di Muggia, il direttore di Porto San Rocco Roberto Sponza allarga le braccia: «Un disastro, siamo finiti fuori mercato. Abbiamo 546 posti barca, il 40% di stranieri, tedeschi austriaci e anche ungheresi, che non hanno più alcuna convenienza a tenere la barca qui. Un esempio? Il 30 metri di un mio cliente paga all’anno 19 mila euro di posto barca, forse come in Slovenia, più 27 mila di tassa di stazionamento che di là  non esiste. Può rimanere?».
Da queste parti galleggia solitario il tredici metri di Riccardo Illy, l’industriale del caffè che è stato ex governatore del Friuli Venezia Giulia e pure istruttore di vela: «L’ho già  messa in vendita ma non trovo compratori. Sto allora valutando di portarla in Croazia». L’ha affidata a un’agenzia nautica slovena: «Sono italiani ma hanno aperto al di là  del confine, per via delle tasse». Il suo collega veneto, l’ex governatore e ministro Giancarlo Galan, ci ha pensato prima di lui: «Da tempo la tengo a Rovigno».
A giudicare dall’andamento del settore non si tratta però solo di problema legato all’ultima tassa. L’associazione dei porti ha calcolato che rispetto all’anno migliore del comparto (2008) nel 2011 il fatturato delle aziende turistiche portuali è sceso del 30%. In difficoltà  anche i porti sardi e quelli liguri di Ponente, dove la concorrenza si chiama Corsica, Costa Azzurra e sgomita pure l’Africa. Ne sa qualcosa l’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni che con due amici possiede in Sardegna una barca di 13 metri e che nonostante il nordismo potrebbe puntare a Sud: «Un socio vorrebbe andare in Tunisia, che sta rinascendo, l’altro a Saint Tropez. Ci stiamo pensando… non siamo polli da spennare».
Nella baia di Rapallo sospira il direttore del porto, Marina Scarpino: «Meno 50% di conferme, mai stata così dura». Solo Spaggiari non si agita più: «Ma la Mara l’ho distrutta».


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