Guerra, ma con aerei low cost

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Dopo aver comandato le forze aeree italiane che bombardarono la Jugoslavia nel 1999, venne scelto dal presidente del consiglio D’Alema quale consigliere militare, carica che mantenne nei successivi governi Amato e Berlusconi. Nel 2006, venne inviato dal governo Prodi al Pentagono per definire la partecipazione dell’Italia al programma dell’F-35, quale partner di secondo livello, in base al memorandum firmato nel 2002 dall’ammiraglio Giampaolo Di Paola, oggi ministro della difesa. Il nostro eventuale abbandono dell’F-35 – avverte Tricarico – toglierebbe «miliardi di lavoro a una settantina di aziende italiane, dai giganti Finmeccanica e Fincantieri, a molte pmi». E all’argomento economico unisce quello politico-militare: dopo aver precisato che l’F-35 non è un «costoso sfizio» ma «uno dei pilastri della Difesa italiana nel XXI secolo», ammonisce che «senza un aereo tattico credibile, domani potremmo essere costretti a chiamarci fuori se un altro dittatore dovesse massacrare il proprio popolo». Chiaro il riferimento alle «guerre umanitarie» di Jugoslavia e di Libia. Mentre il generale va alla carica con tali argomenti, condivisi da un vasto arco politico multipartisan, in parlamento nessuno sa, né vuole, rispondergli. I pochi critici si limitano all’obiezione che l’Italia, in difficoltà  economiche, non può permettersi un aereo tanto costoso. Non mettono in discussione il modello economico di cui l’F-35 è uno dei prodotti, né chiariscono che, mentre i contratti per la sua produzione accresceranno i profitti di aziende private, sarà  il settore pubblico ad addossarsi le spese: almeno 15 miliardi di euro per l’acquisto degli aerei, più un costo operativo superiore di un terzo rispetto a quello degli attuali caccia. Questi parlamentari diffondono allo stesso tempo leggende inter-metropolitane, secondo cui l’amministrazione Obama, decisa a tagliare la spesa militare, avrebbe l’intenzione di ridimensionare drasticamente o cancellare il programma dell’F-35. Ignorano così la forza e l’influenza che ha negli Usa il complesso militare-industriale. Tantomeno mettono in discussione il modello politico-militare, di cui l’F-35 è espressione: dominato dagli Usa attraverso la Nato e finalizzato a continue guerre di aggressione. I senatori Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, che oggi chiedono di rinunciare agli F-35 per risparmiare 3 miliardi da una spesa militare di oltre 25, sono gli stessi che lo scorso marzo hanno sostenuto l’anti-costituzionale e costosa guerra contro la Libia, definendo l’intervento militare «pienamente legittimo e, anzi, giusto e dovuto». Il senatore radicale Marco Perduca, che oggi dichiara la stessa posizione, chiedeva lo scorso marzo di attuare subito un «radar-jamming» per neutralizzare le difese libiche e aprire la strada ai cacciabombardieri. Quelli meno cari dell’F-35, graditi a un partito che si definisce «nonviolento».


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