Il messaggio all’esecutivo: «L’unità  del sindacato è un bene comune»

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Nel Pd si guarda con estrema attenzione alla partita sul mercato del lavoro che si è aperta tra governo e sindacati. Pier Luigi Bersani in questi giorni di pausa dei lavori parlamentari non ha interrotto i contatti con Palazzo Chigi, oltre che con i leader delle altre forze politiche che in Parlamento sostengono Monti. E il messaggio che ha inviato all’esecutivo è di procedere con cautela, perché l’unità  sindacale è «un bene comune» che già  per troppi anni è venuto a mancare e perché l’Italia può uscire dalla crisi «soltanto se ci sono cambiamento e coesione, insieme, non uno dei due senza l’altro».
Il leader del Pd, quando nella tarda mattinata di ieri ha saputo che il governo intende procedere con incontri bilaterali con le parti sociali, ha anche pensato che forse l’idea era di vedere separatamente sindacati e associazioni delle imprese, non le singole sigle sindacali. Col passare delle ore, tra le proteste della Cgil per il niet dell’esecutivo a un tavolo comune sul lavoro, il quadro si è fatto più chiaro. E dal Pd sono partiti anche messaggi pubblici, all’indirizzo del governo. Bersani in un’intervista a SkyTg24 di metà  pomeriggio ha chiesto uno sforzo per risolvere la questione: «Spero proprio che questioni di metodo non impediscano di affrontare la sostanza», ha detto sottolineando che «la questione del formato degli incontri va risolta con buonsenso, senza creare pregiudiziali e divisioni in premessa».
LA COESIONE
Per il leader del Pd il tavolo tra governo e parti sociali va fatto e anche in tempi rapidi, ma «in forme tali che sia riconosciuto da tutti quelli che devono partecipare»: «Mi sembra una cosa ovvia sulla quale il governo debba impegnarsi». Il monito non è da poco, visto che rimanda ai danni provocati dal precedente governo e all’atteggiamento di Sacconi a dividere Cgil, Cisl e Uil: «Veniamo da una esperienza di divisione del mondo del lavoro che non ha portato a nulla. Il 28 giugno è stato raggiunto un accordo di coesione e equilibrio, voglio sperare che nessuno voglia rompere quell’accordo, perché altrimenti si tornerebbe indietro».
Il segretario è intervenuto anche sulla provocazione lanciata da Beppe Grillo sulla necessità  di riflettere sui motivi degli attentati a Equitalia e sull’ipotesi si riformare la società  di riscossione tributi. «Devo dare ragione a Grillo? A chi solletica… Ieri son girate delle pallottole», quindi «oggi diciamo no alle pallottole poi discutiamo». È vero, aggiunge, «non è da oggi che si discute di Equitalia, ma se girano le pallottole si discute di questo e il messaggio deve essere inequivocabile». In un momento così delicato, dunque, prosegue Bersani occorre fare «attenzione, perché non vorrei che da questi dibattiti venisse una giustificazione di massa a chi intende usare la violenza» anche perché «andiamo incontro a mesi complicati e bisogna stare attenti». Su Equitalia, ricorda, «ci sono delle proposte che ritengo siano all’esame del governo e di chi deve provvedere a evitare casi estremi e che finisca per essere tarato come evasore chi non riesce a pagare le tasse».
Altro fronte caldo l’Europa e la linea franco-tedesca: «L’Italia non affonderà  l’Europa, ma sia chiaro che l’Europa di Merkel e Sarkozy non può farci affondare tutti», ribadisce il numero uno del Nazareno, secondo il quale per il governo Monti adesso «c’è un primissimo punto e si chiama Europa. Dobbiamo avere una posizione nazionale. Dire che siamo pronti a fare le riforme, che andremo avanti con il cambiamento, ma che noi manovre non ne facciamo più perché non si può chiedere di più a un Paese con un 5 per cento di avanzo primario».
LA FIDUCIA AL GOVERNO
Se qualcuno avanza sospetti sulla tenuta della fiducia del Pd verso il governo, il segretario sgombra il campo: «Non sono pentito», dice. Poi, aggiunge: «Il governo Monti è partito con un certo piglio, non tutto quel che ha fatto lo sottoscriverei. Eravamo davvero sul precipizio, ci siamo fermati e siamo riusciti a contenere una situazione e impostare un piano di riforma» però «c’è ancora moltissimo da fare» quindi «sospendo il giudizio». Decisivi saranno i prossimi atti del governo.


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