Il potere di Bruxelles e quello dei mercati

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La partecipazione attiva dell’Italia a questo processo è il risultato della reputazione personale di Monti e degli sforzi sulla strada del rigore e delle liberalizzazioni che il suo governo sta iniziando a far intraprendere al Paese.Al di là  della giustificata soddisfazione generale per questi risultati diplomatici, è però importante iniziare a discutere gli obiettivi di questo processo, valutare diverse e alternative forme istituzionali per il governo della politica fiscale dell’Unione che verrà , una volta uscita dalla crisi. A questo proposito, se è necessario evitare che le politiche fiscali dei paesi dell’Unione divergano, con un Sud che accumula spesa e debito ed un Nord che invece mantiene un impronta di rigore finanziario, vi sono almeno due diverse forme istituzionali che in via di principio possano raggiungere questo obiettivo. La prima forma istituzionale richiede un severo controllo politico della spesa e della fiscalità  dei paesi membri a livello dell’Unione; un meccanismo decisionale il più possibile unitario a livello europeo, che abbia potere di agire sulla spesa e sulla finanza dei paesi membri. Favoriscono questa forma istituzionale coloro che da tempo richiedono a gran voce “più Europa”. E proprio questa sembra essere la visione che i leader europei stanno spingendo in queste ore: un patto fiscale d’acciaio (il fiscal compact) garantito dalla reputazione rigorista della Germania che quindi ne assume il controllo. Le richieste del cancelliere tedesco Merkel di portare la Grecia ad una sorta di commissariamento appaiono estreme e dovranno certo essere limate da un punto di vista formale per renderle accettabili al resto dell’Unione; ma da un punto di vista sostanziale esse sono perfettamente in linea con il meccanismo istituzionale che si va delineando. In cambio di questo controllo, la Germania offrirà  una qualche forma di aiuto (il fondo permanente di salvataggio) a quei paesi che si trovino ora o in futuro a dover affrontare la sfiducia dei mercati. La posizione critica rispetto a questo piano assunta in queste ore da Polonia e Repubblica Ceca non appare sostanziale, quanto piuttosto un tentativo di negoziare un loro maggiore ruolo e migliori condizioni. 
A mio avviso vi sono varie ragioni invece per essere critici rispetto a un disegno istituzionale di questo tipo. Innanzitutto è chiaro che esso concede troppo potere alla Germania. Se nel breve periodo questo è un vantaggio per i paesi del Sud dell’Unione, un modo per acquisire quel necessario rigore finanziario che essi faticano a darsi, cedere sovranità  è sempre una strategia pericolosa nel lungo periodo. In secondo luogo, una volta che la Germania controlli la politica fiscale dell’Unione, si potrebbe instaurare un perverso rapporto di dipendenza del Sud dal Nord Europa non dissimile da quello instauratosi in Italia nel dopoguerra, in cui i trasferimenti del Nord servano a limitare i costi sociali di un mancato sviluppo al Sud. Ma il vero limite di questa forma istituzionale per il governo della politica fiscale è il suo carattere dirigista. Tutto è deciso in sede politica e i mercati finanziari sono tenuti a bada con il fondo di salvataggio. Questa è la classica reazione che la burocrazia europea ha sempre assunto ad ogni suo fallimento: rilanciare e richiedere “più-Europa”. La crisi oggi non è infatti che il risultato del fallimento della politica europea, Francese e Tedesca soprattutto, che non ha saputo imporre a se stessa quelle regole che a Maastricht aveva delineato per garantire il rigore finanziario dei paesi della periferia. Perché questa volta dovrebbe essere diverso con il fiscal compact? 
La seconda forma istituzionale che possa garantire che le politiche fiscali dei paesi dell’Unione non divergano richiede invece di definire con chiarezza meccanismi ordinati di default dei debiti sovrani. Una volta che il default di uno stato membro (o la ristrutturazione del suo debito) sia possibile, nessuno più degli investitori sui mercati dei titoli ha interesse a vigilare perché la politica finanziaria dei paesi sovrani sia improntata al necessario rigore. Questo è esattamente quello che sta succedendo in questa crisi; sta succedendo però troppo tardi (e quindi la crisi è più grave) solo perché i mercati hanno per troppo tempo creduto ad un’implicita garanzia della Germania sul debito dei paesi del Sud Europa. Una volta eliminata questa garanzia i paesi “devianti” si troverebbero rapidamente ad affrontare rendimenti crescenti e quindi avrebbero interesse a rientrare. Non mi nascondo che un meccanismo istituzionale che garantisca default sovrani ordinati non è facile da disegnare. Ma il controllo da parte dei mercati avrebbe notevoli vantaggi. Un esempio che a me pare convincente è il seguente. La recente proposta del ministro Passera di vendere imprese e altre attività  a controllo statale alla Cassa Depositi e Prestiti sarebbe immediatamente scontato dai mercati per quello che è: un escamotage contabile che non produce alcun effetto sulla reale situazione debitoria del Paese e che invece danneggia gravemente la già  inefficiente governance delle imprese pubbliche. In un sistema dirigista invece cosa viene contabilizzato come “debito” è il frutto di una negoziazione politica, il che può generare incentivi ad operazioni di finanza pubblica dannose e poco trasparenti come questa.


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