il Tempo del Lavoro che Cambia più facile Licenziare fino a 3 anni

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ROMA – Per avviare la riforma del mercato del lavoro, il ministro Fornero seguirà  ufficialmente lo schema che è prassi nella Comunità  europea: si consultano gli interessati, uno per volta, si ascoltano le diverse voci, quindi si cerca una sintesi che soddisfi (o meglio, non scontenti troppo) tutti. «Non esiste un piano già  cotto da sottoporre alle parti sociali — dicono i collaboratori stretti del ministro — Siamo pronti a registrare idee, consigli, buone proposte». Negli uffici di via Veneto si segnalano tuttavia due forti vincoli: il tempo, che è poco — diciamo tre settimane — per arrivare a un progetto organico e le risorse, che però stavolta potrebbero anche esserci, se Elsa Fornero riuscirà  a dirigere verso la protezione dei lavoratori almeno una parte dei 20 miliardi risparmiati con la riforma delle pensioni e una parte dei frutti della lotta contro gli evasori fiscali.
Il ministro ascolterà  e prenderà  appunti, perché arrivare al tavolo di una trattativa con un testo predefinito spinge gli interlocutori al conflitto. Ma naturalmente lo studio di una soluzione che tenga assieme associazioni imprenditoriali, sindacati e partiti di maggioranza è a buon punto. Una soluzione che non scontenti troppo, ma si permetta anche qualche forzatura, tipica di un governo che vuole governare. Abolizione di gran parte del lavoro super precario (a favore dei sindacati). Possibilità , limitata, di licenziare (a favore delle imprese). 
Non si parlerà  più di arrivare a un «contratto unico», per superare le quasi 40 forme di contratti precari o atipici. Si punta piuttosto a un «contratto prevalente» a tempo indeterminato. Con un «inserimento formativo» che vada dai sei mesi ai tre anni, durante i quali sia possibile il licenziamento. Dopo i tre anni, il lavoro diventerebbe stabile, sotto l’ombrello dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (licenziamento solo per giusta causa). Si potrebbe partire con un salario più basso, che avrebbe poi aumenti variabili, in base alla produttività . L’aggettivo «prevalente» è dovuto al fatto che resterebbero in vita le principali forme di contratti con data di scadenza: a termine, lavoro a chiamata, lavoro interinale. Un altro tema è l’unificazione dei contributi previdenziali, più volte richiesta dai sindacati: oggi i dipendenti pagano il 33 per cento, i collaboratori il 27,7, commercianti e artigiani arriveranno al 24 nel 2018. 
Un punto centrale che preme al ministro Fornero è la rimodulazione degli ammortizzatori sociali, che però non potrebbero gravare troppo sulle imprese (per non perdere il consenso di Confindustria e collegati). Il Pdl, con l’ex ministro Sacconi in testa sta per presentare in parlamento una proposta di legge che prevede forme assicurative per la perdita del lavoro. Il ministro Fornero ha esaminato la possibilità  di introdurre un «salario minimo garantito», ipotesi per ora scartata perché esageratamente cara per le casse dello Stato. In sede Cgil c’è chi ipotizza che il governo aprirà  il confronto parlando proprio di ammortizzatori sociali. Perché ci sono 300 mila lavoratori in imprese in difficoltà  e perché rifinanziando la cassa integrazione (in attesa di una riforma organica) si distenderebbero gli animi di tutti: sindacati, imprese, Pd e centrodestra più attento al sociale.
Da questo impianto, resta fuori l’idea di toccare l’articolo 18. Fornero è rimasta scottata da roventi polemiche dopo che disse al Corriere: «Non ci sono totem». Testimonia Cesare Damiano, Pd, ex ministro del lavoro di Prodi: «Si è compreso che con l’articolo 18 si tocca una materia calda. Non ci saranno interventi diretti». Dal centro destra invece arrivano giudizi taglienti, come questo di un membro del primo cerchio del Pdl: «L’articolo 18 è la chiave di tutto. Bce, Commissione europea e Fmi chiedono una modifica. Se Monti e Fornero lo lasceranno intatto verrà  fuori una riforma quasi inutile». 
Elsa Fornero torna all’opera oggi, nel suo ufficio di Torino. «Sia chiaro — spiega chi lavora con lei — che noi stiamo ragionando sulle nuove regole per il lavoro. Non produciamo nuovo lavoro: quella è un’altra partita». Per prima cosa al ministero andrà  preparato l’elenco delle parti sociali da consultare e stilato il calendario, a partire probabilmente da martedì 10. Ognuno sarà  sentito separatamente e gli incontri dovrebbero occupare tutta la prossima settimana, per scrivere poi il progetto finale entro il consiglio dei ministri del 20 gennaio, l’Eurogruppo del 23 ed il vertice Ue del 30.
E’ proprio la proposta che Damiano con altri 80 deputati ha depositato ad aver sollecitato l’attenzione dei tecnici del Welfare. Prevede meno tutele della proposta dell’economista Boeri e del sindacalista Cgil Nerozzi, i quali assegnavano un’indennità  a chi fosse licenziato nei tre anni di «prova». Nei sette punti illustrati da Damiano insieme a un altro ex ministro, Tiziano Treu, si prevedono anche lo sconto Irap alle imprese che assumono giovani e donne a tempo indeterminato e l’unificazione delle varie forme di cassa integrazione e delle indennità  di mobilità  e disoccupazione.
I sindacati chiedono retribuzioni più alte per chi resterà  precario. La Confindustria non è d’accordo, anzi è molto preoccupata che si introducano «irrigidimenti» nella normativa. «Cos’è che genera crescita nelle proposte Damiano-Treu?», dicono nei piani alti di viale dell’Astronomia. Così si introduce una questione aperta ieri dal segretario Cisl, Bonanni, sul Corriere. I sindacati non vogliono affrontare la riforma del mercato del lavoro separatamente dalle altre questioni sul tappeto. «Il confronto con il governo Monti non va sprecato — sostiene il segretario Cgil, Camusso — Le priorità  sono fisco, crescita, lavoro, produttività , pensioni e rappresentanza». E Bonanni: «Senza concertazione governo-imprese-sindacati su lavoro, welfare e fisco, il Paese andrebbe allo sbando». Il governo Monti non vuole firmare patti a largo raggio, perché ciò toglierebbe la possibilità  di prendere decisioni ritenute necessarie e però impopolari. Queste pregiudiziali rischiano di bloccare il dialogo.


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