Io vado in banca, stipendio fisso Ma il neoassunto vale di meno

by Editore | 27 Gennaio 2012 9:16

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La crisi fa ballare i lavoratori sui carboni ardenti. Sono a rischio i salariati dell’industria, dalla Fiat alla Fincantieri, dall’edilizia al tessile. Sono in affanno i servizi, alle imprese e alle persone. Neanche i bancari dormono sonni tranquilli, sono anzi nell’occhio del ciclone: ristrutturazioni, accorpamenti, tagli, mancanza di liquidità  e strategie che abbattono o non onorano le domande di credito. Sono 330 mila i dipendenti del settore e nei giorni scorsi le organizzazioni sindacali di categoria hanno raggiunto l’accordo con la controparte per il rinnovo del contratto nazionale scaduto da un anno. Essere riusciti «in tempi brevi» a raggiungere l’obiettivo «nel tempo della crisi più pesante che il settore abbia mai attraversato», per il segretario generale della Fisac Cgil Agostino Megale è motivo d’orgoglio. Come lo è l’aver costituito un fondo di solidarietà  finalizzato a creare «lavoro stabile e a tempo indeterminato per le nuove generazioni».
Se però si analizza il voto del direttivo nazionale della Fisac che ha approvato l’accordo si scopre che il malcontento serpeggia: 84 voti a favore, 46 contrari e 29 astenuti. Un consenso non certo di massa, che se si tiene conto degli aventi diritto al voto nel direttivo si ferma un po’ al di sotto del 50%. La minoranza della Fisac che fa capo alla «Cgil che vogliamo» mette in fila tutti i punti di criticità  del nuovo contratto e si impegna a fornire ai bancari il massimo di informazioni perché «possando dire la loro a ragion veduta». Domenico Moccia, ex segretario generale della categoria, parte da un «vulnus»: il salario d’accesso per i nuovi assunti, del 18% più basso rispetto a quello degli altri dipendenti. È la prima volta che passa una simile innovazione, «rifiutata solo un anno e mezzo fa nel corso delle trattative con Intesa San Paolo». A ciò si aggiungono i contratti complementari per chi svolge funzioni non strettamente bancarie, che prevedono salari decurtati del 20% e un orario settimanale maggiorato di 2 ore e mezza. Ma il punto rivelatore «della matrice ideologica», denuncia Moccia, è proprio quello rivendicato dai sostenitori della bontà  del contratto: «Il fondo per l’occupazione giovanile è finanziato soltanto con i soldi dei lavoratori, i quadri rinunciando al salario di una festività  soppressa e tutti gli altri con una giornata di lavoro. Le banche non ci mettono una lira. Ciò nonostante, il fondo sarà  gestito da un ente bilaterale e dunque sarà  cogestito dalle imprese e dai lavoratori. Si tratta di un impianto di concertazione subalterno, anche perché nel nostro contratto sono state assunte tutte le scelte regressive uscite da accordi separati, accordi confederali e modifiche legislative che riducono i diritti dei lavoratori e l’autonomia sindacale».
L’aumento previsto, per una durata maggiore rispetto alla passata tradizione contrattuale, è di 170 euro lordi per la categoria più alta e la massima anzianità , scaglionato in tre tranches, di cui l’ultima sarà  corrisposta nel giugno del 2014. Tra i sacrifici rispetto al vecchio regime c’è la mancata integrazione del differenziale tra l’inflazione prevista e quella reale. Per ultimo, ma non per importanza, è prevista la possibilità  di derogare al contratto nazionale: «C’è addirittura un peggioramento rispetto all’accordo interconfederale separato del gennaio 2009, che la Cgil si rifiutò di firmare». Nel frattempo però, è giusto ricordarlo, è arrivato l’accordo firmato da tutti, Cgil compresa, del 28 giugno 2011, seguito a breve distanza dall’articolo 8 della manovra ferragostana di Monti che cancella il contratto nazionale unico.
Queste le critiche principali avanzate da Moccia, in un contesto drammatico per una categoria già  pesantemente colpita: «I piani industriali approvati prevedono 16.553 esuberi entro il 2015. Dai dati dell’Abi (Associazione bancaria italiana) risulta che grazie alle nuove tecnologie, nel 2011 l’operatività  degli sportelli è diminuita del 33% e per il 2012 è prevista un’ulteriore riduzione del 15% per l’aumento della produttività . In questa situazione, che senso ha parlare di nuovi assunti e di lavoro stabile a tempo indeterminato, per garantire il quale ci vengono richiesti sacrifici?».

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